La ventilazione non-invasiva è ritenuta il trattamento di prima scelta nell’insufficienza respiratoria secondaria a riacutizzazione di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Questa è opinione comune ed anche una raccomadazione forte della recente ed autorevole linea guida sulla ventilazione non-invasiva di European Respiratory Society/American Thoracic Society (ERS/ATS) (1): “We recommend bilevel NIV for patients with ARF leading to acute or acute-on-chronic respiratory acidosis ( pH ⩽7.35) due to COPD exacerbation. (Strong recommendation, high certainty of evidence.)“.
La stessa raccomandazione è stata proposta qualche anno prima anche dalla linea guida della Canadian Critical Care Society (2): “We recommend the use of NPPV in addition to usual care in patients who have a severe exacerbation of COPD (pH < 7.35 and relative hypercarbia). Grade 1A”
Non ci sono proprio dubbi quindi e, questa volta, mi sento di condividere pienamente queste raccomadazioni: la riacutizzazzione di BPCO è trattata in maniera appropriata con la ventilazione non-invasiva
Tuttavia nella mia pratica clinica quotidiana ho regolarmente pazienti con riacutizzazione di BPCO che sono intubati e sottoposti a ventilazione invasiva. Come conciliare questa semplice osservazione con quanto quanto finira affermato? Sbaglio qualcosa oppure le raccomandazioni delle linee guida devono essere commentate ed approfondite?
Esistono casi in cui i pazienti con riacutizzazione di BPCO devono essere intubati e ventilati invasivamente? Quando dobbiamo considerare fallita la ventilazione non-invasiva in questo tipo di pazienti? La risposta a queste domande è fondamentale per capire quando non utilizzare (o smettere di utilizzare) la ventilazione non-invasiva pur nella sua indicazione più appropriata.
Innanzitutto dobbiamo considerare che la scelta della ventilazione non-invasiva è condizionata dal livello di gravità di riacutizzazione di BPCO. La linea guida ERS/ATS (1) cita a supporto della propria raccomandazione 24 studi. Nella quasi totalità dei casi (22 su 24), la ventilazione non-invasiva era confrontata all’ossigenoterapia. La raccomadazione della linea guida canadese è esplicitamente rivolta al confronto tra ventilazione non-invasiva ed ossigenoterapia ed analizza 14 trial randomizzati e controllati (2). Ne concludiamo quindi che le raccomandazioni precedenti vanno intese più correttamente in questo modo: la ventilazione non-invasiva deve essere preferita all’ossigenoterapia (non all’intubazione tracheale). Infatti la linea guida ERS/ATS nelle considerazioni per l’implemetazione dice: “Bilevel NIV should be considered when the pH is ⩽7.35, PaCO2 is >45 mmHg and the respiratory rate is >20–24 breaths/min despite standard medical therapy.”
Pensiamo a chi conduce uno studio controllato e randomizzato su BPCO riacutizzati ed assegna casualmente i pazienti alla ventilazione non-invasiva o all’ossigenoterapia: evidentemente deve arruolare pazienti che NON abbiano la NECESSITA‘ di essere ventilati, perchè altrimenti sarebbe un crimine assegnarli all’ossigenoterapia. Dobbiamo quindi pensare a pazienti che potrebbe essere lecito ventilare ma potrebbe anche non essere necessario. Questo è confermato dai criteri di inclusione nei trial clinici, che solitamente sono, tra gli altri, un pH < 7.35 con frequenza respiratoria > 20-30/min: quindi pazienti con insufficienza respiratoria lieve-moderata (dal punto di vista del rianimatore). In questi pazienti la ventilazione non-invasiva è da preferire alla ossigenoterapia perchè riduce la probabilità di intubazione e la mortalità. Da notare che da questi studi sono esclusi a priori i pazienti che non tollerano la ventilazione non-invasiva. Dobbiamo quindi pensare che per essere efficace la ventilazione non-invasiva abbia probabilmente bisogno di essere fatta efficacemente in pazienti collaboranti.
Nella pratica clinica la ventilazione non-invasiva viene però presa in considerazione nella riacutizzazione di BPCO anche per situazioni più gravi, cioè quando la ventilazione meccanica (invasiva o non-invasiva) è assolutamente necessaria.
La ventilazione non-invasiva è efficace anche in questi casi? Ci sono studi che ne supportano l’utilizzo? Cosa dicono le linee guida?
Abbiamo a disposizione un unico studio controllato “serio” in pazienti con grave riacutizzazione di BPCO in cui i pazienti siano stati randomizzati per la ventilazione non-invasiva o per l’intubazione tracheale+ventilazione invasiva (3). In questo caso erano arruolati pazienti con una condizione più grave, con pH < 7.20 o frequenza respiratoria ≥ 35/min. In questi pazienti non vi era differenza significativa di mortalità tra ventilazione non-invasiva (26%) ed intubazione (19%) nè di durata della degenza in Terapia Intensiva (22 vs. 21 giorni in media). Un dato da non trascurare è però l’elevata frequenza di fallimento della ventilazione non-invasiva (il 52% dei pazienti ad essa assegnati è stato alla fine intubato) e l’elevata mortalità nei pazienti con fallimento della ventilazione non-invasiva (42%).
In altre parole, nei pazienti con grave riacutizzazione di BPCO e necessità di supporto ventilatorio, la ventilazione non-invasiva non offre rilevanti vantaggi clinici rispetto all’intubazione, fallisce una volta su due e quando fallisce la mortalità è molto elevata. Visti da un altro punto di vista, gli stessi numeri ci dicono però che circa la metà di questi pazienti evita efficacemente l’intubazione tracheale.
Cosa concludiamo quindi per i pazienti con grave riacutizzazione di BPCO (quelli che dobbiamo necessariamente ventilare)? Ventilazione non-invasiva o intubazione? I dati a supporto della ventilazione non-invasiva abbiamo visto essere tutt’altro che decisivi. Ed infatti linee guida differenti offrono raccomandazioni differenti. La linea guida (ERS/ATS) (1) raccomada comunque per un tentativo di ventilazione non-invasiva: “We recommend a trial of bilevel NIV in patients considered to require endotracheal intubation and mechanical ventilation, unless the patient is immediately deteriorating. (Strong recommendation, moderate certainty of evidence.)“. Al contrario la linea guida canadese (2) non prende posizione: “We make no recommendation about the use of NPPV versus intubation and conventional mechanical ventilation in patients who have a severe exacerbation of COPD that requires ventilator support, because of insufficient evidence“. Stesse fonti bibliografiche, conclusioni diverse, entrambe proposte con certezza. Quindi incertezza.
A mio parere può essere una scelta di buon senso fare un primo tentativo di ventilazione non-invasiva nei pazienti con grave riacutizzazione di BPCO se sono stabili dal punto di vista cardiocircolatorio, non hanno ipossiemia grave con infiltrati polmonari (terreno minato per la ventilazione non-invasiva) e se hanno uno stato di coscienza normale o sono facilmente risvegliabili. Si deve essere consapevoli che più è basso il pH e maggiore è il rischio di fallimento della ventilazione non-invasiva, e che quindi il paziente deve essere strettamente monitorato con la possibilità di una rapida intubazione tracheale qualora non migliori (“the lower the pH, the greater risk of failure, and patients must be very closely monitored with rapid access to endotracheal intubation and invasive ventilation if not improving.“)(1).
Domanda decisiva: quanto bisogna aspettare il miglioramento prima di passare all’intubazione? Nel BPCO riacutizzato è una partita di poche ore (non di giorni!!!): Conti e coll. (3) hanno intubato il 75% dei fallimenti della ventilazione non-invasiva tra 2 e 6 ore dal suo inizio, la linea guida ERS/ATS propone una finestra temporale di 1-4 ore per cogliere i miglioramenti che ci attendiamo dalla ventilazione non-invasiva (1). Sappiamo che già dopo un paio d’ore dall’inizio della ventilazione non-invasiva la probabilità di intubazione è molto elevata se il pH rimane inferiore a 7.25-7.30, se persiste uno stato di coscienza alterato, se la frequenza respiratoria non si riduce sotto i 30/min (4) (figura 1).
Ne consegue che il fallimento della ventilazione non-invasiva dovrebbe essere identificato il più precocemente possibile, senza incapponirsi in ostinati ed estenuanti prolungamenti se non si assiste ad un rapido miglioramento.
Un’ultima considerazione spesso trascurata: modalità e criteri di impostazione della ventilazione non-invasiva nella riacutizzazione di BPCO. E’ incredibile come spesso si parli di ventilazione non-invasiva senza definirne i dettagli. Mutatis mutandis, è come se si parlasse dell’efficacia della terapia antibiotica nelle polmoniti comunitarie, trascurando di definire quali antibiotici usare ed a quale dosaggio…
Questo aspetto è già stato trattato in precedenza (vedi ad esempio il post del 30/04/2017), qui per necessità di sintesi proponiamo una ricetta semplificata ma ragionevole. I trial clinici sulla ventilazione non-invasiva nel BPCO riacutizzato hanno in comune un medesimo razionale nella scelta di modalità di ventilazione e parametri ventilatori. E’ utilizzata una ventilazione pressometrica (l’onda di flusso decrescente è preferibile nel paziente con dispnea) con elevato supporto inspiratorio (per mettere a riposo i muscoli respiratori) e bassa PEEP (compromesso tra eventuale riduzione di carico soglia ed incremento del probabilmente già elevato volume polmonare di fine espirazione). Quindi può andare bene una ventilazione a pressione di supporto o una assistita controllata pressometrica, con un supporto inspiratorio fino al massimo tollerato dal paziente (con un volume corrente di almeno 7-8 ml/kg di peso ideale) che porti ad ottenere una frequenza respiratoria inferiore a 25/min, associata ad una PEEP di 3-5 cmH2O.
Come sempre, concludiamo riassumendo in pochi punti la strategia della ventilazione non-invasiva nella riacutizzazione di BPCO (queste considerazioni NON sono valide per altre forme di insufficienza respiratoria):
- la ventilazione non-invasiva deve essere il primo approccio al paziente con pH <7.35, a patto che sia stabile dal punto di vista cardiovascolare, che non vi sia una ipossiemia grave o alterazioni rilevanti dello stato di coscienza;
- il ventilatore dovrebbe essere impostato con ventilazione pressometrica (onda di flusso decrescente), supporto inspiratorio elevato (per ottenere una frequenza respiratoria < 25/min con volume corrente) e PEEP 3-5 cmH2O.
- l’intubazione tracheale deve sostituire la ventilazione non invasiva entro qualche ora dal suo inizio se non si progredisce chiaramente verso la normalizzazione del pH, se non si riduce dispnea e frequenza respiratoria, se persistono le alterazioni del sensorio. Proseguire in queste condizioni la ventilazione non-invasiva non significa essere “fighi” ma temerari;
- nei casi in cui il pH è molto basso (<7.20-7.25), in cui si hanno alterazioni del sensorio o quando vi sia associata una grave ipossiemia, può essere ragionevole un breve iniziale trial di ventilazione non-invasiva, a patto che si passi immediatamente all’intubazione tracheale in caso di risposta clinica insoddisfacente.
Come sempre, un sorriso agli amici di ventilab.
Bibliografia.
- Rochwerg B et al. Official ERS/ATS clinical practice guidelines: noninvasive ventilation for acute respiratory failure. Eur Respir J 2017; 50: 1602426
- Keenan SP et al. Clinical practice guidelines for the use of noninvasive positive-pressure ventilation and noninvasive continuous positive airway pressure in the acute care setting. CMAJ 2011; 183:E195-214
- Conti G et al. Noninvasive vs. conventional mechanical ventilation in patients with chronic obstructive pulmonary disease after failure of medical treatment in the ward: a randomized trial. Intensive Care Med 2002; 28:1701-7
- Confalonieri M et al. A chart of failure risk for noninvasive ventilation in patients with COPD exacerbation. Eur Respir J 2005;25:348-55