Sunday, November 27, 2011

Ventilazione a volume controllato o ventilazione a pressione controllata? Quale la migliore?

Spesso mi viene chiesto se è meglio utilizzare la ventilazione a pressione controllata o la ventilazione a volume controllato. Vediamo insieme cosa le differenzia per giungere ad una scelta consapevole.

Premetto che la cosa più importante è avere chiari gli obiettivi da raggiungere con la ventilazione: questi poi si possono raggiungere con qualunque modalità di ventilazione si consosca bene.

Come ben sappiamo, la pressione controllata applica una pressione costante nelle vie aeree per tutta la durata dell’inspirazione. Il risultato è un flusso inspiratorio che inizia con un picco e decresce durante l’inspirazione (fig. 1, a sinistra). Il volume controllato invece genera un flusso costante per tutta la durata dell’inspirazione e per ottenere ciò il ventilatore deve aumentare continuamente la pressione nelle vie aeree (fig. 1, a destra).

Figura 1.

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Le differenze di pressione tra volume controllato e pressione controllata.

Prima conseguenza di questa diversa logica di funzionamento è la differenza nelle pressioni di picco. A volte questo viene presentato come un vantaggio della pressione controllata sul volume controllato, ma lo è davvero?

La pressione di picco è la somma di due pressioni: 1) la pressione che ci serve per generare il flusso più 2) la pressione che espande l’apparato respiratorio.

La pressione che genera il flusso è quella forza che spinge il gas inspirato attraverso tubo tracheale e vie aeree. Essa ha il proprio valore massimo all’inizio della branca inspiratoria e si riduce progressivamente fino ad annullarsi al termine delle vie aeree. Il suo valore dipende dall’entità del flusso e dalle resistenze.

Alla fine della inspirazione la pressione per generare flusso è più elevata in volume controllato che in pressione controllata: infatti in volume controllato abbiamo ancora un flusso più elevato (uguale a quello di tutta la fase inspiratoria) che in pressione controllata, che a fine inspirazione vede il flusso più o meno completamente annullato (fig 1).

La pressione per generare flusso non arriva negli alveoli ma si consuma lungo il tubo tracheale e le vie aeree. Non deve essere considerata come una pressione che può indurre danno polmonare indotto dalla ventilazione (VILI, ventilator-induced lung injury) .

Alla fine della inspirazione, a parità di volume corrente, avremo la stessa pressione negli alveoli sia in volume controllato che in pressione controllata. E questa pressione (indipendente dalla modalità di ventilazione) dipende unicamente da elastanza e volume corrente. Questa pressione può essere stimata facendo un’occlusione delle vie aeree alla fine della inspirazione: nella figura 2 vediamo sopvrapposte due curve di volume controllato (PCV) e pressione controllata (PCV) a parità di volume corrente. Si può notare come le pressioni di picco siano diverse tra loro, mentre le pressioni di plateau sono uguali tra di loro. Stesso plateau, stesso stress.

Figura 2.

Quindi pressione controllata e volume controllato hanno, a parità di volume corrente, lo stesso impatto sul danno polmonare, che in realtà è determinato solo da elastanza e volume corrente.  Non lasciamoci trarre in inganno dalla diversità delle pressioni di picco. Si potrebbero fare disquisizioni più approfondite per i polmoni caratterizzati da marcata disomogeneità, ma affronterò l’argomento solo se vedrò che può interessare ai lettori di ventilab.

La pressione controllata fa raggiungere inoltre valori di pressione media delle vie aeree più elevata del volume controllato, a meno che a quest’ultimo non si aggiunga un’opportuna pausa di fine inspirazione. E la pressione media delle vie aeree è correlata all’ossigenazione. Si può quindi dire che in pressione controllata è più semplice ottimizzare pressione media delle vie aeree e ossigenazione.

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Le differenze di flusso tra volume controllato e pressione controllata.

Il volume controllato assicura l’erogazione di un predeterminato un flusso (e quindi un volume corrente), mentre il flusso che si genera in pressione controllata è variabile e dipende dalle variazioni della costante di tempo del paziente (cioè del rapporto tra resistenza ed elastanza). In alcuni casi può essere preferibile garantire un volume corrente costante: pensiamo ad esempio ai pazienti con trauma cranico ed ipertensione intracranica, dove la regolazione della PaCO2 è un obiettivo clinico importante. In altri casi può essere meglio limitare automaticamente le pressioni ed accettare variazioni del volume corrente, come ad esempio nei pazienti con ARDS ed elevate pressioni di plateau (o transpolmonari).

Un’altra differenza tra pressione controllata e volume controllato è la diversa distribuzione del flusso. Nella pressione controllata il flusso è elevato all’inizio dell’inspirazione, mentre nel volume controllato è uniforme per tutta l’inspirazione. Un elevato flusso inspiratorio iniziale favorisce la sincronia tra paziente e ventilatore se il paziente triggera gli atti respiratori. Quindi la pressione controllata ci può semplificare la sincronia paziente-ventilatore e la riduzione del lavoro respiratorio del paziente. Ovviamente anche un’oculata regolazione del volume controllato può raggiungere gli stessi obiettivi, ma sicuramente serve un occhio più esperto per gestire l’interazione paziente-ventilatore durante volume controllato (1,2).

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Le ventilazioni a pressione controllata a target di volume.

Quasi tutti i ventilatori hanno forme di ventilazione che rientrano in questa categoria: PCV-VG (GE), PRVC o VGRP (Maquet, Siemens), AutoFlow (Draeger), ecc. In pratica sono normalissime ventilazioni a pressione controllata in cui però il ventilatore continua ad adeguare la pressione applicata per raggiungere un volume prefissato. Quindi le impostiamo come un volume controllato (a parte la pausa) ma funzionano come una pressione controllata: pressione inspiratoria costante e flusso inspiratorio decrescente. In maniera molto semplice aggiungiamo alla pressione controllata il vantaggio principale del volume controllato: il volume costante. Ovviamente le pressioni potranno aumentare o diminuire secondo le necessità.

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Come scegliere tra volume controllato e pressione controllata.

Detto questo, mi sento di fare questa proposta nella scelta delle ventilazioni controllate ed assistite-controllate:

– scegliere di norma una ventilazione a pressione controllata a target di volume (PCV-VG, PRVC o VGRP, AutoFlow, ecc). E’ semplice da impostare ed unisce vantaggi di volume controllato e pressione controllata: garantisce il volume corrente, facilitando sincronia ed ossigenazione grazie al flusso decrescente. A questo punto bisogna solo scegliere il volume corrente ed il I:E giusti…

– quando abbiamo la necessità di limitare la pressione di plateau (esempio siamo già a 30 cmH2O di plateau), utilizzare la pressione controllata. Solitamente impostando PEEP e pressione controllata la cui somma non superi 31-32 cmH2O, ci si garantisce di rimanere sotto i 30 cmH2O di pressione di plateau. Meglio comunque verificare di caso in caso.

Un caro saluto a tutti.

PS: il workshop “La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica” si terrà quasi certamente sabato 28 gennaio 2011. A prestissimo la conferma definitiva.

Bibliografia.

1) Chiumello D et al. Different modes of assisted ventilation in patients with acute respiratory failure. Eur Respir J 2002; 20: 925-33

2) Kallet RH et al. Work of breathing during lung-protective ventilation in patients with Acute Lung Injury and Acute Respiratory Distress Syndrome: a comparison between volume and pressure-regulated breathing modes. Respir Care 2005; 50:1623-31

Sunday, November 20, 2011

Avviso importante: rinviato il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica"

Il workshop “La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica programmato sabato 17 dicembre è rinviato ad altra data.  Al più presto stabiliremo una nuova data e ne daremo comunicazione.

Mi scuso per l’inconveniente, purtroppo dovuto ad un imprevisto grave problema.

Un saluto a tutti.

Sunday, November 13, 2011

Ventilazione meccanica per obiettivi: quando il meglio è nemico del bene.

Quando prendo in carico la cura di una persona, mi pongo sempre degli obiettivi da raggiungere. Avere obiettivi chiari è il primo passo per fare le scelte migliori.

Abbiamo sempre chiari gli obiettivi della ventilazione meccanica?

La ventilazione meccanica ha l’obiettivo di supportare le funzioni dell’apparato respiratorio evitando di fare danni (se possibile).

Le funzioni dell’apparato respiratorio da supportare sono due:

  1. ossigenazione
  2. rimozione di CO2

Ragioniamo sugli obiettivi che dobbiamo avere per ciascuna di queste funzioni.

Ossigenazione.

La domanda è: quanto ossigeno serve ai nostri pazienti? Semplicemente un livello di PaO2 che consenta una buona funzione dei nostri organi e tessuti. Sappiamo che l’ossigeno deve arrivare ai mitocondri. L’ossigeno arriva nei capillari (cioè in prossimità dei mitocondri) grazie alla portata cardiaca ed all’emoglobina. Una volta che l’ossigeno è giunto nei capillari, il passaggio ai mitocondri dipende dalla differenza tra la PO2 nel capillare e nel mitocondrio. La PO2 durante il suo tragitto nel capillare si riduce progressivamente a causa della continua cessione dell’ossigeno ai tessuti: è quindi più alta nel versante arterioso rispetto a quello venoso (e l’entità di questo fenomeno è condizionato dal trasporto di ossigeno) (figura 1).

Figura 1.

La PO2 dei mitocondri varia tra 4 e 23 mmHg, dipendendo dal tipo di tessuto considerato. Ma, oltre alla differenza di PO2 tra capillare e mitocondrio, c’è un altro fattore che condiziona la diffusione dell’ossigeno ai tessuti: la distanza tra capillare e mitocondri delle cellule (1). Proviamo a pensare a come può variare questa distanza in un soggetto sano e nel paziente edematoso. L’edema è una barriera all’ossigenazione cellulare. Esistono evidenze che la quantità di fluidi somministrati (dopo le prime ore di trattamento) e l’entità dei bilanci idrici positivi sono associati a peggiori outcome (2-5).

Per riassumere: L’ossigenazione dei tessuti dipende sia da fattori polmonari (la PaO2) che da fattori non polmonari (portata cardiaca, emoglobina ed edema). Quello che può fare la ventilazione è assicurare una PaO2 sufficiente a saturare l’emoglobina (vedi post del 31 /10/2011) e generare un sufficiente gradiente di PO2 tra capillari e mitocondri. Si ritiene che una PaO2 sopra 55-60 mmHg ed una corrispondente saturazione arteriosa superiore a 88-90% siano più che sufficienti a questo scopo (6). Dobbiamo quindi evitare di “spingere l’acceleratore” sul ventilatore meccanico per avere delle “belle” PaO2. Cosa ce ne facciamo, se le dobbiamo poi pagare con i danni indotti dalla ventilazione meccanica. Dobbiamo anche evitare di considerare il PaO2/FIO2 un obiettivo a breve termine della ventilazione meccanica: esso descrive unicamente il livello di gravità della disfunzione polmonare, non ci dice se stiamo ventilando bene un paziente. Potremmo infatti adottare strategie ventilatorie che migliorano nel breve periodo il PaO2/FIO2, ma che fanno male al paziente. Un esempio? I pazienti con ARDS migliorano nei primi giorni il PaO2/FIO2 se ventilati con 12 ml/kg di volume corrente rispetto a quando ricevono un volume corrente di 6 ml/kg . Sappiamo però tutti come va poi a finire… (6)

Eliminazione di CO2.

Nei pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica (il cui paradigma è l’ALI/ARDS) non abbiamo bisogno di mantenere 40 mmHg di PaCO2 e 7.40 di pH! Il nostro organismo funziona bene (a volte anche meglio, forse) (vedi post del 24/09/2011) anche a valori di PaCO2 un po’ più alti e di pH un po’ più bassi. Nei pazienti con ALI/ARDS, se detestiamo l’acidosi respiratoria, possiamo iniziare a preoccuparci se il pH scende al di sotto dei 7.25 (che corrisponde a circa 60 mmHg di PaCO2 in assenza di alterazioni metaboliche del pH). Potremmo essere anche più tolleranti ed accettare anche pH fino a 7.15 (circa 70 mmHg di PaCO2 senza associate alterazioni metaboliche) o addirittura anche inferiori (7). Con l’eccezione dei pazienti con trauma cranico, shock non responsivo alle catecolamine o con con disfunzione ventricolare destra (8).

Diverso è l’approccio ai pazienti con insufficienza respiratoria ipercapnica (un esempio tipico può essere la riacutizzazione della BPCO) o durante la fase di weaning. Se la PaCO2 elevata è associata ad acidosi respiratoria, abbiamo un segno evidente dell’insufficienza della pompa respiratoria (cioè dell’apparato neuromuscolare che muove i polmoni). In questo caso l’obiettivo è il riposo dei muscoli respiratori esauriti da un eccessivo e prolungato carico di lavoro. Quindi dobbiamo dare una ventilazione che garantisca l’abolizione (o quasi) della ventilazione spontanea del paziente per il tempo strettamente necessario a far riposare i muscoli respiratori. Ancora una volta la normalizzazione PaCO2 non è il nostro obiettivo, ma semmai una conseguenza del nostro trattamento.

In conclusione possiamo affermare che nella maggior parte dei casi non è molto difficile raggiungere i due obiettivi della ventilazione meccanica:

  1. raggiungere una PaO2 di almeno 55-60 mmHg (o una saturazione di 88-90%)
  2. avere un pH maggiore di 7.15-7.25

La vera sfida è ossigenare ed eliminare anidride carbonica senza danneggiare l’apparato respiratorio. Dobbiamo stare alla larga sia dal VILI (ventilator-induced lung injury) che dal VIDD (ventilator-induced diaphragmatic dysfunction), che uccidono molte più persone di ipossiemia ed ipercapnia. Evitare la normalizzazione (o addirittura la perfezione) dell’emogasanalisi è spesso il primo passo per raggiungere anche questi obiettivi. Ma di questo ne riparleremo in altre occasioni…

Un caro saluto al popolo di ventilab, una tribù di circa tremila appassionati di ventilazione.

Bibliografia

1) Lumb AB. Nunn’s Applied Respiratory Physiology. Chapter 11: Oxygen, pp. 179-216. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

2) Sakr Y et al. High tidal volume and positive fluid balance are associated with worse outcome in acute lung injury. Chest 2005; 128:3098-108

3) Upadya A et al. Fluid balance and weaning outcomes. Intensive Care Med 2005; 31:1643-7

4) Wiedemann HP et al. Comparison of two fluid-management strategies in acute lung injury. N Engl J Med 2006; 354:2564-75

5) Stewart RM et al. Less is more: improved outcomes in surgical patients with conservative fluid administration and central venous catheter monitoring. J Am Coll Surg 2009; 208:725-35

6) ARDS Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional for acute lung injury and the acute respiratory distress sindrome. N Engl J Med 2000, 342:1301-8

7) Hickling KG et al. Low mortality associated with low volume pressure limited ventilation with permissive hypercapnia in severe adult respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 1990; 16:372-7

8) Mekontso Dessap A et  al. Impact of acute hypercapnia and augmented positive end-expiratory pressure on right ventricle function in severe acute respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 2009; 35:1850-8

 

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