Sunday, December 15, 2013

Shock settico: vasocostrittori o fluidi?

rubikoneOggi parliamo di emodinamica. Anche se la ventilazione meccanica è il principale argomento di ventilab.org, ogni tanto guardiamo anche nel campo vicino dell’emodinamica, sia per le strette relazioni che esistono tra emodinamica e ventilazione meccanica, sia per l’interesse ripetutamente manifestato per queste digressioni da parte della tribù di ventilab.org (un grazie ai 7331 visitatori unici degli ultimi 30 giorni).

Vorrei condividere l’esperienza di Pierina, una donna di circa 70 anni con uno shock settico da candidemia. Ricordiamo che lo shock settico è definito da tre elementi: 1) la presenza di un’infezione a cui si associa 2) un’ipotensione arteriosa che deve essere trattata con 3) vasocostrittori anche dopo un’appropriata somministrazione di fluidi. Nella nostra Pierina la sepsi ha scatenato un’insufficienza multiorgano in piena regola: ARDS, insufficienza renale, encefalopatia, disfunzione epatica e piastrinopenia.

Una notte il medico di guardia riceve in consegna Pierina con l’infusione di noradrenalina (o norepinefrina come sarebbe più corretto dire) a 0.9 mcg.kg-1.min-1 e dignitosi valori di pressione arteriosa (circa 70 mmHg di pressione arteriosa media). Il medico di guardia decide di valutare se la somministrazione di fluidi può essere efficace nel ridurre la dose di noradrenalina, ovviamente continuando a mantenere sufficienti valori di pressione arteriosa. Pertanto nel corso della notte esegue una serie di espansioni volemiche, dopo ciascuna delle quali riesce a diminuire il dosaggio di noradrenalina, mantenendo stabile la pressione arteriosa. Alla fine del turno, dopo una notte dedicata alla cura di Rosa, il dosaggio della noradrenalina è passato da 0.9 a 0.4  mcg.kg-1.min-1 ed il medico è molto soddisfatto del risultato del proprio impegno notturno.

Fino a questo punto della storia, sei d’accordo con la soddisfazione del medico di guardia?

Però…(ovviamente c’è un “però”) Pierina aveva anche un catetere arterioso polmonare (il caro, vecchio catetere di Swan-Ganz) e l’ultima misurazione dell’indice cardiaco (prima delle espansioni volemiche) dava un valore di 4.3 l.min-1.m-2. Un “dettaglio” trascurato dal medico di guardia, che ha gestito Pierina come se non avesse a disposizione la misurazione della portata cardiaca. Il caso è interessante perchè il nostro medico ha fatto quello che normalmente viene fatto quando non si ha a disposizione il monitoraggio della portata cardiaca.

Prima di rivedere criticamente la gestione di Pierina, richiamiamo alcune considerazioni su ritorno venoso e portata cardiaca.

Espansione volemica, ritorno venoso e portata cardiaca.

Quando infondiamo fluidi, aumentiamo il volume intravascolare ed in particolare il volume del distretto venoso (che è molto più ampio e compliante di quello arterioso).

L’aumento di volume nei vasi venosi postcapillari genera ovviamente un aumento della pressione venosa postcapillare, che assimiliamo alla pressione sistemica media (vedi post del 30 aprile 2013). La pressione sistemica media è la forza che “spinge” il ritorno venoso verso l’atrio destro: più aumenta, più aumenta il ritorno venoso.

cardiovascular_system
Oltre ad incrementare il ritorno venoso, l’aumento della pressione sistemica media produce edema tissutale. Infatti la pressione sistemica media è la pressione che troviamo alla fine del circolo capillare ed il suo aumento inevitabilmente induce un incremento delle pressioni capillari e quindi la formazione di edema (come previsto dall’equazione di Starling quando vi è un aumento della pressione idrostatica interna al capillare). Questo nel caso di individui che, al momento della somministrazione di fluidi, partano da normali valori di pressione sistemica media; ovviamente nei casi di bassa pressione venosa postcapillare (disidratazione, emorragia acuta) la somministrazione di fluidi prima ripristinerà una condizionedi normalità e l’edema inizierà solo dopo il superamento delle pressioni fisiologiche.

Conclusione 1: l’espansione volemica ha due effetti diretti ed immediati: aumento del ritorno venoso ed edema tissutale. Nessuno di questi due effetti, di per se, è utile al paziente.

Un vantaggio potenziale per il paziente potrebbe esserci  se entrambe le pompe cardiache (cioè sia il ventricolo destro che il ventricolo sinistro) sono poi in grado di trasformare l’aumento del ritorno venoso in aumento di portata cardiaca. Ecco i due possibili scenari:

1. il cuore riesce a “smaltire” il maggior flusso in arrivo aumentando la portata cardiaca (cioè il flusso in uscita). Perchè questo accada entrambi i ventricoli devono essere sono “virtuosi“. Il ventricolo destro, più precaricato, riesce ad aumentare la gittata sistolica (stroke volume). L’aumento della portata cardiaca destra (nella circolazione polmonare) aumenta il ritorno venoso al ventricolo sinistro che a sua volta trasforma l’aumento del proprio precarico in aumento di stroke volume sinistro. L’effetto finale è l’aumento della portata cardiaca sistemica.

2. il cuore non riesce a “smaltire” l’aumento del ritorno venoso: l’aumento di precarico (cioè del volume del ventricolo alla fine della diastole) non è in grado di aumentare lo stroke volume ed il maggior ritorno venoso si traduce quindi nella dilatazione delle strutture vascolari a monte del ventricolo e nell’aumento delle pressioni al loro interno. Se il ventricolo che fallisce è il destro, possiamo quindi misurare un aumento della pressione venosa centrale. Se invece il fallimento è dovuto al ventricolo sinistro, possiamo misurare un aumento della pressione di incuneamento dell’arteria polmonare (pulmonary capillary wedge pressure) con congestione del circolo polmonare fino all’edema polmonare.

Conclusione 2: solo alcuni pazienti che ricevono liquidi (circa il 50%) (1-2) sono in grado di aumentare la portata cardiaca dopo l’espansione volemica. Negli altri, cioè in circa la metà dei nostri pazienti, la somministrazione di fluidi servirà esclusivamente ad aumentare il livello di edema periferico o polmonare.

Facciamoci ora una domanda fondamentale: l’aumento della portata cardiaca è un obiettivo auspicabile nel trattamento del paziente con shock?

Si considera come normale un indice cardiaco tra 2.5 e 3.5 l.min-1.m-2. Gli studi sui pazienti critici (diverso è il discorso per i pazienti sottoposti a chirurgia) hanno dimostrato che non vi è nessun vantaggio ad aumentare l’indice cardiaco oltre questi valori (3,4).

Ecco perchè non possiamo condividere la somministrazione di fluidi per ridurre la noradrenalina nella nostra Pierina. Che senso ha dare un carico di fluidi ad una paziente con un indice cardiaco di 4.3 l.min-1.m-2Che senso ha somministrare fluidi ad un paziente ipoteso (o normoteso con vasocostrittore) se la portata cardiaca è normale o elevata? Abbiamo appena visto che l’unico possibile effetto positivo dell’espansione volemica potrebbe essere l’aumento della portata cardiaca: se non ci serve aumentarla, a che scopo fare i liquidi? Il risultato saranno solo più edema e bilanci idrici positivi, che come è ben noto si associano ad un incremento della mortalità (5-8).

Conclusione 3: nei pazienti con portata cardiaca normale o elevata, per trattare l’ipotensione bisogna utilizzare i vasocostrittori e non i fluidi.

E come facciamo a sapere se un paziente ha la portata cardiaca alta o bassa? Quando salire con la noradrenalina a dosaggi elevati in sicurezza? La risposta è una sola: dobbiamo misurare la portata cardiaca. E mi sento tranquillo nello scrivere che non è assolutamente vero (come talvolta mi capita di sentire dire) che vi siano evidenze che monitoraggio emodinamico e supporto di circolo mirato siano inefficaci o dannosi nei pazienti shockati con necessità di farmaci vasoattivi. Quello che la letteratura invece supporta è che non possiamo certo pensare di affidare le nostre decisioni sulla gestione emodinamica alla valutazione di pressione arteriosapressione venosa centrale (9,10).

Conclusione 4: nel paziente con shock che richiede dosaggi elevati di vasocostrittore o frequenti espansioni volemiche, bisogna necessariamente pensare di misurare la portata cardiaca per orientare il supporto di circolo in maniera mirata.

Torniamo alla signora Pierina. Penso che quella notte sarebbe stato meglio mantenere elevato il dosaggio di noradrenalina ed evitare le espansioni volemiche. Da allora Pierina ha iniziato una abbondante rimozione di fluidi prima con la CVVH e quindi, una volta ripresa la diuresi, coi diuretici, arrivando a perdere oltre 15 kg di peso. A distanza di circa 20 giorni Pierina non ha segni di infezione, è normotesa senza farmaci vasoattivi, è ben vigile, è svezzata dalla ventilazione, ha meno di 2 mg/dL di creatinina (senza CVVH) e sta aspettando il trasferimento in riabilitazione.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab, con l’augurio di riscoprire l’emodinamica: un’arma in più nel nostro repertorio.

 

PS: Non ho volutamente analizzato altri aspetti emodinamici (wedge pressure, PVC, PPV, SVV e compagnia bella) perchè penso che nel caso presentato non avrebbero influenzato le scelte terapeutiche. Ne possiamo eventualmente discutere nei commenti.

Bibliografia
1) Cecconi M et al. Changes in the mean systemic filling pressure during a fluid challenge in postsurgical intensive care patients. Intensive Care Med 2013; 39:1299-1305
2) Marik PE et al. Dynamic changes in arterial waveform derived variables and fluid responsiveness in mechanically ventilated patients: A systematic review of the literature. Crit Care Med 2009; 37:2642–2647
3) Gattinoni L et al. A trial of goal-oriented hemodynamic therapy in critically ill patients. N Engl J Med 1995; 333:1025-32
4) Alía I et al. A randomized and controlled trial of the effect of treatment aimed at maximizing oxygen delivery in patients with severe sepsis or septic shock. Chest 1999; 115:453-61
5) Micek ST et al. Fluid balance and cardiac function in septic shock as predictors of hospital mortality Critical Care 2013; 17:R246
6) Sakr Y et al. High tidal volume and positive fluid balance are associated with worse outcome in acute lung injury. Chest 2005; 128:3098-108
7) Upadya A et al. Fluid balance and weaning outcomes. Intensive Care Med 2005; 31:1643-7
8) Wiedemann HP et al. Comparison of two fluid-management strategies in acute lung injury. N Engl J Med 2006; 354:2564-75
9) Pierrakos C et al. Can changes in arterial pressure be used to detect changes in cardiac index during fluid challenge in patients with septic shock? Intensive Care Med 2012; 38:422-8
10) Marik PE et al. Does central venous pressure predict fluid responsiveness? Chest 2008;134;172-8

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