Sunday, November 13, 2011

Ventilazione meccanica per obiettivi: quando il meglio è nemico del bene.

Quando prendo in carico la cura di una persona, mi pongo sempre degli obiettivi da raggiungere. Avere obiettivi chiari è il primo passo per fare le scelte migliori.

Abbiamo sempre chiari gli obiettivi della ventilazione meccanica?

La ventilazione meccanica ha l’obiettivo di supportare le funzioni dell’apparato respiratorio evitando di fare danni (se possibile).

Le funzioni dell’apparato respiratorio da supportare sono due:

  1. ossigenazione
  2. rimozione di CO2

Ragioniamo sugli obiettivi che dobbiamo avere per ciascuna di queste funzioni.

Ossigenazione.

La domanda è: quanto ossigeno serve ai nostri pazienti? Semplicemente un livello di PaO2 che consenta una buona funzione dei nostri organi e tessuti. Sappiamo che l’ossigeno deve arrivare ai mitocondri. L’ossigeno arriva nei capillari (cioè in prossimità dei mitocondri) grazie alla portata cardiaca ed all’emoglobina. Una volta che l’ossigeno è giunto nei capillari, il passaggio ai mitocondri dipende dalla differenza tra la PO2 nel capillare e nel mitocondrio. La PO2 durante il suo tragitto nel capillare si riduce progressivamente a causa della continua cessione dell’ossigeno ai tessuti: è quindi più alta nel versante arterioso rispetto a quello venoso (e l’entità di questo fenomeno è condizionato dal trasporto di ossigeno) (figura 1).

Figura 1.

La PO2 dei mitocondri varia tra 4 e 23 mmHg, dipendendo dal tipo di tessuto considerato. Ma, oltre alla differenza di PO2 tra capillare e mitocondrio, c’è un altro fattore che condiziona la diffusione dell’ossigeno ai tessuti: la distanza tra capillare e mitocondri delle cellule (1). Proviamo a pensare a come può variare questa distanza in un soggetto sano e nel paziente edematoso. L’edema è una barriera all’ossigenazione cellulare. Esistono evidenze che la quantità di fluidi somministrati (dopo le prime ore di trattamento) e l’entità dei bilanci idrici positivi sono associati a peggiori outcome (2-5).

Per riassumere: L’ossigenazione dei tessuti dipende sia da fattori polmonari (la PaO2) che da fattori non polmonari (portata cardiaca, emoglobina ed edema). Quello che può fare la ventilazione è assicurare una PaO2 sufficiente a saturare l’emoglobina (vedi post del 31 /10/2011) e generare un sufficiente gradiente di PO2 tra capillari e mitocondri. Si ritiene che una PaO2 sopra 55-60 mmHg ed una corrispondente saturazione arteriosa superiore a 88-90% siano più che sufficienti a questo scopo (6). Dobbiamo quindi evitare di “spingere l’acceleratore” sul ventilatore meccanico per avere delle “belle” PaO2. Cosa ce ne facciamo, se le dobbiamo poi pagare con i danni indotti dalla ventilazione meccanica. Dobbiamo anche evitare di considerare il PaO2/FIO2 un obiettivo a breve termine della ventilazione meccanica: esso descrive unicamente il livello di gravità della disfunzione polmonare, non ci dice se stiamo ventilando bene un paziente. Potremmo infatti adottare strategie ventilatorie che migliorano nel breve periodo il PaO2/FIO2, ma che fanno male al paziente. Un esempio? I pazienti con ARDS migliorano nei primi giorni il PaO2/FIO2 se ventilati con 12 ml/kg di volume corrente rispetto a quando ricevono un volume corrente di 6 ml/kg . Sappiamo però tutti come va poi a finire… (6)

Eliminazione di CO2.

Nei pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica (il cui paradigma è l’ALI/ARDS) non abbiamo bisogno di mantenere 40 mmHg di PaCO2 e 7.40 di pH! Il nostro organismo funziona bene (a volte anche meglio, forse) (vedi post del 24/09/2011) anche a valori di PaCO2 un po’ più alti e di pH un po’ più bassi. Nei pazienti con ALI/ARDS, se detestiamo l’acidosi respiratoria, possiamo iniziare a preoccuparci se il pH scende al di sotto dei 7.25 (che corrisponde a circa 60 mmHg di PaCO2 in assenza di alterazioni metaboliche del pH). Potremmo essere anche più tolleranti ed accettare anche pH fino a 7.15 (circa 70 mmHg di PaCO2 senza associate alterazioni metaboliche) o addirittura anche inferiori (7). Con l’eccezione dei pazienti con trauma cranico, shock non responsivo alle catecolamine o con con disfunzione ventricolare destra (8).

Diverso è l’approccio ai pazienti con insufficienza respiratoria ipercapnica (un esempio tipico può essere la riacutizzazione della BPCO) o durante la fase di weaning. Se la PaCO2 elevata è associata ad acidosi respiratoria, abbiamo un segno evidente dell’insufficienza della pompa respiratoria (cioè dell’apparato neuromuscolare che muove i polmoni). In questo caso l’obiettivo è il riposo dei muscoli respiratori esauriti da un eccessivo e prolungato carico di lavoro. Quindi dobbiamo dare una ventilazione che garantisca l’abolizione (o quasi) della ventilazione spontanea del paziente per il tempo strettamente necessario a far riposare i muscoli respiratori. Ancora una volta la normalizzazione PaCO2 non è il nostro obiettivo, ma semmai una conseguenza del nostro trattamento.

In conclusione possiamo affermare che nella maggior parte dei casi non è molto difficile raggiungere i due obiettivi della ventilazione meccanica:

  1. raggiungere una PaO2 di almeno 55-60 mmHg (o una saturazione di 88-90%)
  2. avere un pH maggiore di 7.15-7.25

La vera sfida è ossigenare ed eliminare anidride carbonica senza danneggiare l’apparato respiratorio. Dobbiamo stare alla larga sia dal VILI (ventilator-induced lung injury) che dal VIDD (ventilator-induced diaphragmatic dysfunction), che uccidono molte più persone di ipossiemia ed ipercapnia. Evitare la normalizzazione (o addirittura la perfezione) dell’emogasanalisi è spesso il primo passo per raggiungere anche questi obiettivi. Ma di questo ne riparleremo in altre occasioni…

Un caro saluto al popolo di ventilab, una tribù di circa tremila appassionati di ventilazione.

Bibliografia

1) Lumb AB. Nunn’s Applied Respiratory Physiology. Chapter 11: Oxygen, pp. 179-216. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

2) Sakr Y et al. High tidal volume and positive fluid balance are associated with worse outcome in acute lung injury. Chest 2005; 128:3098-108

3) Upadya A et al. Fluid balance and weaning outcomes. Intensive Care Med 2005; 31:1643-7

4) Wiedemann HP et al. Comparison of two fluid-management strategies in acute lung injury. N Engl J Med 2006; 354:2564-75

5) Stewart RM et al. Less is more: improved outcomes in surgical patients with conservative fluid administration and central venous catheter monitoring. J Am Coll Surg 2009; 208:725-35

6) ARDS Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional for acute lung injury and the acute respiratory distress sindrome. N Engl J Med 2000, 342:1301-8

7) Hickling KG et al. Low mortality associated with low volume pressure limited ventilation with permissive hypercapnia in severe adult respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 1990; 16:372-7

8) Mekontso Dessap A et  al. Impact of acute hypercapnia and augmented positive end-expiratory pressure on right ventricle function in severe acute respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 2009; 35:1850-8

 

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