Quando e come togliere la tracheocannula? Oggi affrontiamo questo spinoso argomento con il contributo di Chiara Mulè, fisiatra presso la Unità Operativa di Riabilitazione dell’Ospedale Habilita di Sarnico (BG). Chiara fa particolare riferimento al paziente cerebroleso, ma penso che una buona parte delle sue considerazioni si possa tranquillamente estendere anche ad altre categorie di malati. Non rubo altro spazio, entriamo subito nel merito del problema.
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La gestione della tracheocannula ed il suo svezzamento rappresentano uno degli aspetti fondamentali da affrontare nei reparti di riabilitazione nell’ottica della progressiva indipendenza da tutti i sistemi di supporto artificiali.
La rimozione della tracheocannula è sicuramente un obiettivo primario sia perché permette la ripresa dell’autonomia respiratoria ma soprattutto perché riduce il rischio di complicanze respiratorie che sono correlate al suo prolungato mantenimento (1).
Esiste inoltre una stretta correlazione, nell’ambito delle funzioni vitali, tra abilità respiratorie, deglutitorie e alimentari per cui risulta indispensabile l’integrazione tra diverse figure professionali del team riabilitativo; obiettivo comune è il ripristino delle funzioni fisiologiche di respirazione, alimentazione e fonazione (2).
La gestione della cannula tracheostomica rappresenta uno dei punti critici nel trattamento del grave cerebroleso ed è strettamente connesso con la valutazione ed il trattamento della disfagia; la valutazione, diagnosi e trattamento dei deficit di deglutizione vanno quindi effettuati al fine di contenere al minimo rischio lo sviluppo di gravi complicanze polmonari e nutrizionali (2).
Sicuramente il mantenimento della cannula tracheostomica presenta molteplici vantaggi (3):
– Permette un’adeguata ventilazione meccanica assicurando la pervietà della via aerea
– Favorisce la gestione delle secrezioni bronchiali permettendone l’aspirazione
– Protegge le vie aeree in assenza di tosse efficacia riflessa.
Di contro la presenza della cannula rappresenta un importante disagio per il paziente, rende impossibile la comunicazione verbale, aumenta la probabilità di infezioni e riduce, soprattutto se cuffiata, il normale movimento di innalzamento della laringe complicando ulteriormente la deglutizione già compromessa dalla lesione (1).
Dalla revisione degli studi presenti in letteratura si evidenzia che non esistono protocolli condivisi da tutti i Centri di riabilitazione per la gestione e lo svezzamento dalla cannula tracheostomica (2). E’ quindi difficile sistematizzare l’approccio. Inoltre nelle pubblicazioni scientifiche diverso peso viene attribuito alle alterazioni della coscienza; molteplici studi non focalizzati sulla grave cerebrolesione acquisita riportano come criterio indispensabile per il decannulamento la presenza di buona responsività del paziente che ovviamente nella grave cerebrolesione spesso è alterata (5).
In sintesi il documento finale della recente Consensus Conference sulla grave cerebrolesione acquisita raccomanda:
– Non mantenimento della cuffiatura soprattutto in pazienti non costantemente monitorati
– Decanullazione solo:
– dopo valutazione clinica della tolleranza alla progressiva chiusura – fino almeno a 48 ore consecutive (saturazione 02>92% in aria ambiente)
– sufficiente efficacia della tosse e capacità di autogestione delle secrezioni
– assenza di infezioni e rx torace negativa
– assenza di ostruzione delle vie aeree superiori
– soddisfacenti condizioni di nutrizione e efficacia almeno parziale della deglutizione
– dopo valutazione fibroscopica di pervietà delle vie respiratorie, funzionalità delle corde vocali e assenza di complicanze.
Si sottolinea che la decannulazione è possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza dopo aver verificato una ragionevole efficacia della tosse e della deglutizione automatica.
Nelle indicazioni quindi è strettamente correlata la gestione della cannula con la valutazione delle secrezioni orofaringee e della funzione deglutitoria.
Nella Consensus Conference (2) inoltre si individuano alcuni studi che possono essere un punto di riferimento sull’attuazione di una “Best practice”.
Tra gli studi viene citato il seguente protocollo che risulta essere uno dei più seguiti e riconosciuti (3):
Svezzamento da cannula tracheostomica
Lo svezzamento progressivo dalla cannula tracheostomica prevede la scuffiatura della cannula per tempi sempre più lunghi prima nelle ore diurne e poi notturne, momento in cui la postura facilita episodi di inalazione.
Quando il paziente può rimanere scuffiato senza episodi di difficoltà respiratoria si procede alla graduale tappatura della cannula con contemporanea valutazione della saturazione arteriosa; il paziente ricomincia quindi a respirare attraverso le vie naturali ed il ripristino del flusso aereo fisiologico comporta molteplici vantaggi:
– aumento della sensibilità faringo-laringea
– maggior efficacia della tosse riflessa in caso di inalazione
– possibilità di comunicazione verbale
– miglioramento dell’olfatto e del gusto.
A volte la tappatura della cannula può accompagnarsi a difficoltà respiratorie con desaturazione per l’ingombro della cannula rispetto al lume tracheale; è consigliato in questi casi sostituire la cannula con una di diametro inferiore e senza cuffia e poi riprovare a tapparla.
Quando il paziente sarà in grado di respirare autonomamente per almeno 48 ore a cannula tappata senza episodi di desaturazione e con una buona espettorazione la cannula tracheostomica potrà esser rimossa.
Valutazione delle secrezioni naso-faringee e funzione deglutitoria
Le prove sono effettuate con blu di metilene; la valutazione della deglutizione con tale sostanza è molto importante perché permette di definire se è presente una qualsiasi forma di disfagia per liquidi, semisolidi e solidi prima della decannulazione. La presenza della cannula infatti permette di valutar meglio il paziente (individua anche l’inalazione silente) ed effettuare il trattamento della disfagia con maggior sicurezza.
Se il paziente è portatore di cannula tracheostomica cuffiata è necessario prima scuffiare la cannula; se non si presentano alterazioni della saturazione o difficoltà respiratorie si procede alla colorazione delle secrezioni con blu di metilene; dopo qualche atto deglutitorio si verifica se è presente tosse riflessa con fuoriuscita di blu di metilene dalla cannula poi si effettua comunque una tracheoaspirazione per verificare l’eventuale presenza di blu di metilene in trachea. La prova viene effettuata almeno 3 volte in una giornata e viene monitorata l’eventuale presenza di blu nelle secrezioni.
In presenza di segni di inalazione ne viene valutata la rilevanza clinica aumentando il tempo di monitoraggio del paziente a cannula scuffiata. Solo se ci sono episodi di desaturazione o infezioni recidivanti delle vie aeree per inalazione massiva è necessario mantenere la cannula cuffiata.
Se non son presenti segni di inalazione, la saturazione si mantiene e non ci son complicanza respiratorie si procede con le prove di deglutizione; le prove di deglutizione sono effettuate con le diverse consistenze (solidi, semisolidi e liquidi) colorati con blu di metilene; le consistenze vengono somministrate in giornate diverse per poter individuare un’eventuale inalazione specifica per consistenza.
Se il paziente non risulta disfagico si può procedere alla decannulazione.
Se il paziente risulta disfagico ma si prevede un’evoluzione del quadro clinico in un tempo ragionevole si può mantenere la tracheocannula come supporto nella riabilitazione della deglutizione.
Se la disfagia è grave e difficilmente risolvibile in tempi brevi, è meglio decannulare il paziente e posticipare il raggiungimento della nutrizione per os all’eventuale miglioramento del quadro neurologico. La disfagia infatti non è controindicazione assoluta alla decannulazione se i soggetti sono collaboranti con scarse secrezioni ed una buona gestione orale delle secrezioni, una tosse efficace e non hanno mai presentato a cannula scuffiata complicanze infettive.
Bibliografia
Karen et al. Tracheostomy in severe TBI pazients: sequelae e relation to vocational outcome. Brain Injury 2001; 15 (6): 531-6
SIMFER. Conferenza Nazionale di Consenso: Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite. 2011
C. Reverberi, F.Lombardi. Tracheostomia e disfagia nel grave cerebroleso. Ed. Del Cerro.2007
O’Connor et al. Tracheostomy decannulation. Respiratory Care 2010; vol 55 (8): 1076-1081
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Il contributo di Chiara Mulè, chiarissimo e con molti elementi pratici che ci possono consentire di arricchire la nostra pratica clinica. nella mia pratica clinica non affronto normalmente la rimozione della tracheocannula con un approccio così metodico. e’ mia personale opinione che nel paziente tracheotomizzato non neuroleso si possano legittimamente bruciare alcune tappe: tosse e disfagia spesso non sono sempre problemi gravi in questi pazienti.
Avere però il quadro completo delle tappe opportune/necessarie per la rimozione della tracheocannula, ci consentirà sicuramente di gestire al meglio molti pazienti con tracheotomia.Grazie Chiara.
Ventilab li accoglie volentieri nei commenti tutti i dubbi e le considerazioni aggiuntive sull’argomento.
Ciao a tutti.