Nel post del 16 giugno ci eravamo dati appuntamento per un approfondimento delle cause di ipossiemia. L’argomento è però molto complesso: ritengo sia opportuno trattare una causa di ipossiemia alla volta. Questo ci consentirà di associare la tradizionale semplicità e la brevità del post con la possibilità di approfondimento. La prima causa di ipossiemia che troviamo nei trattati di fisopatologia respiratoria è l’ipoventilazione, quindi oggi parleremo di ipoventilazione ed ipossiemia.
Inizio subito con una affermazione: l’ipoventilazione non è una causa di ipossiemia; ne consegue che l’aumento della ventilazione (volume corrente e/o frequenza respiratoria) non corregge l’ipossiemia.
Quello che ho appena scritto non è propriamente vero ma non è sbagliato crederlo. Mi spiego meglio. L’ipoventilazione ha come prima conseguenza l’ipercapnia. Questo concetto è riassunto nell’equazione
PaCO2= k x V’CO2/VA (eq. 1).
Non spaventarti, è facilissima da capire! Si legge in questo modo: la PaCO2 è direttamente proporzionale alla produzione di CO2 dell’organismo (V’CO2) ed inversamente proporzionale alla ventilazione alveolare (VA). In altre parole ancora, la PaCO2 aumenta quando aumenta la produzione di CO2 o quando si riduce la ventilazione alveolare. Non ci sono altri meccanismi in gioco: semplice, vero? Ricordiamo che ventilazione alveolare è la parte di ventilazione che realmente partecipa agli scambi alveolari e che quindi non comprende la ventilazione dello spazio morto. Se ami (come me) le semplici equazioni possiamo sintetizzare il tutto così:
VA=(VT-VD) x FR (eq. 2)
dove VT è il volume corrente, VD il volume dello spazio morto e FR la frequenza respiratoria.
Quindi l’ipoventilazione (alveolare) aumenta la PaCO2, non riduce la PaO2. E’ però vero che l’aumento della PaCO2 determina una riduzione della pressione alveolare di O2 (PAO2). Anche questo è ben descritto in una delle più importanti equazioni della fisiologia, l’equazione dei gas alveolari (da capire, ricordare e non dimenticare mai!):
PAO2=(Patm-PH2O) x FIO2 – PaCO2/QR (eq. 3).
Anche qui niente paura, è molto facile da capire. Il primo termine dell’equazione calcola la pressione di O2 nelle vie aeree. La pressione totale dei gas nelle nostre vie aeree è pari alla pressione atmosferica (Patm) meno la pressione di vapore saturo dell’acqua (PH2O, cioè la pressione del vapore acqueo nelle vie aeree umidificate): a livello del mare ed a 37 °C, Patm è 760 mmHg e PH2O è 47 mmHg. La pressione dell’ossigeno nelle vie aeree è uguale a (Patm-PH2O) moltiplicato per la frazione inspiratoria di O2 (FIO2), che quando respiriamo aria è 0.21. Ecco spiegato il primo temine dell’equazione che in fisiologia assume il valore: (760-47)*0.21=149.7 mmHg. Nei tuoi bronchi in questo momento hai quindi circa 150 mmHg di PO2.
Vediamo ore il secondo termine dell’equazione. Nei sacchi alveolari però arriva anche la CO2 che diffonde dai capillari polmonari ed il suo valore è assimilabile a quello della PaCO2, quindi in fisiologia circa 40 mmHg. La PAO2 sarà quindi ridotta, rispetto alla PO2 nei bronchi, più o meno di un valore simile alla PaCO2. Più precisamente l’equazione dei gas alveolari ci dice che la riduzione di PAO2 è uguale alla PaCO2 diviso il quoziente respiratorio (QR). Su quest’ultimo passaggio ci conviene adeguarci senza capire (è complesso e cambia poco il senso del nostro discorso), basta sapere che mediamente QR è 0.8. Quindi se abbiamo circa 150 mmHg di PO2 nei bronchi, negli alveoli la PAO2 sarà 150-40/08=100 mmHg. Semplice, vero?
In un individuo sano la PaO2 è più bassa di circa il 3% rispetto alla PAO2 a causa principalmente dello shunt fisiologico. Per questo motivo la tua PaO2 ora è probabilmente circa 97 mmHg (auguro sempre agli amici di ventilab di essere sani).
Vediamo ora cosa succede quando c’è ipoventilzione. Se un soggetto, che respira aria, dimezza la propria ventilazione alveolare, raddoppierà la PaCO2 (eq. 1) che diventerà 80 mmHg. Diventa ipossico questo soggetto? Riscriviamo l’equazione dei gas alveolari: PAO2 = 150 – 80/0.8 = 50 mmHg. Se la pressione di O2 alveolare è 50 mmHg, in un soggetto sano ci possiamo attendere una PaO2 più bassa del 3%, diciamo circa 48 mmHg. E’ ipossia! Inoltre se l’ipoventilazione fosse un poco più spinta (ad esempio la ventilazione diventasse il 40% di quella basale) l’ipossiemia conseguente all’ipercapnia sarebbe letale (prova a fare due conti…)
Come posso supportare l’affermazione che hai letto all’inizio del post?
Andiamo avanti: somministriamo ossigeno al 28 % (FIO2 0.28) al soggetto con ipoventilazione del 50% rispetto al normale. L’equazione dei gas alveolari diventa: PAO2 = (760-47) x 0.28 – 80/0.8= 100 mmHg. Con un minimo aumento di FIO2 abbiamo ottenuto la stessa PAO2 che avevamo con la normoventilazione.
Vediamo ora nella figura che trovi qui sotto cosa succede quando invece si iperventila (è tutto calcolabile applicando le equazioni 1 e 3). Se si aumenta del 50% la ventilazione (riga tratteggiata rossa), la PAO2 aumenta di circa il 15% e la saturazione arteriosa praticamente di nulla rispetto ad una ventilazione normale: l’iperventilazione è un modo altamente inefficiente ed inefficace di aumentare l’ossigenazione.
Vediamo ora le applicazioni pratiche dei nostri ragionamenti:
1) Apnea. In caso di arresto totale della ventilazione (come ad esempio all’induzione dell’anestesia generale), la soluzione è una sola: ripristinare una normale ventilazione. Nulla di più. Addirittura può bastare ripristinare anche solo una minima ventilazione se si riesce a somminstrare ossigeno: abbiamo visto infatti quanto è efficace l’ossigenoterapia nel correggere l’ipossiemia da grave ipoventilazione. Questo è da tenere presente in caso di difficile gestione delle vie aeree.
2) Ipoventilazione. Se stiamo somministrando ossigeno ed abbiamo ipossiemia, quasi certamente la causa dell’ipossiemia non è l’ipoventilazione. Se non stiamo somministrando ossigeno, le possibilità di trattamento sono 2: a) dare O2 (ad esempio in un paziente in respiro spontaneo con una lieve depressione del centro del respiro da oppioidi) oppure b) ripristinare una normale ventilazione alveolare (ad esempio in un paziente che decidiamo di intubare per altri motivi).
3) Normoventilazione o iperventilazione. In questo caso la causa dell’ipossiemia non è, per definizione, l’ipoventilazione. Se c’è ipossiemia in una simile condizione , l’aumento di volume corrente e frequenza respiratoria non ha un razionale fisiologico ed è di scarsissima efficacia nell’aumentare la PaO2.
Per concludere, riformuliamo in termini più appropriati l’affermazione scritta all’inizio del post: l’ipoventilazione genera una ipossiemia facilmente correggibile con l’ossigenoterapia; l’aumento della ventilazione non deve essere usato per il trattamento dell’ipossiemia nei pazienti che non ipoventilano.
Un saluto a tutti gli amici di ventilab in questo torrido sabato di fine giugno.
PS: se desideri fare un un commento, scrivilo subito. La risposta ti arriverà tra qualche settimana: da domani stacco la spina per un po’. A prestissimo.