Saturday, May 25, 2013

ARDS e posizione prona: ecco cosa c'è di nuovo.

La pronazione (cioè mettere a pancia in giù) è da anni una procedura utilizzata nei pazienti con ARDS. Da tanti anni è noto che la pronazione migliora l’ossigenazione favorendo l’aumento della capacità funzionale residua e l’accoppiamento di ventilazione e perfusione (1). Negli ultimi anni si è capito che probabilmente la pronazione ha anche un effetto protettivo sul polmone, riducendo stress e strain (2-3).

Nonostante i vantaggi teorici, i trial clinici eseguiti per verificare l’impatto della pronazione sulla sopravvivenza non erano mai riusciti a dimostrare una riduzione della mortalità rispetto a quella supina (4-7). Ma adesso sembra che le cose stiano cambiando.

Ancora in attesa di pubblicazione, lunedì sera è stato anticipato online sul sito del New England Journal of Medicine lo studio PROSEVA che potrebbe cambiare le carte in tavola. Per il momento puoi vedere l’articolo cliccando qui. Per una strana coincidenza, pochi minuti prima che apparisse su internet, avevo parlato dei risultati di questo studio, che giravano nei congressi, in una risposta ad un commento.

Proviamo ora a vedere insieme gli aspetti salienti dello studio PROSEVA.

Gli autori di questo studio hanno deciso di arruolare solamente pazienti con ARDS da meno di 36 ore con un PaO2/FIO2 < 150 mmHg con almeno 5 cmH2O di PEEP che mantenessero questa condizione per almeno 12-24 ore. I pazienti arruolati venivano randomizzati per essere ventilati in posizione supina (234 pazienti)o in posizione prona (240 pazienti).

Nello studio PROSEVA la posizione supina era mantenuta per almeno 16 ore consecutive: una posizione supina completa, senza supporti per l’addome ma solo con “imbottiture” adesive per fronte, ginocchia, torace e creste iliache. Il capo era ruotato ogni due ore a destra ed a sinistra. Quindi i pazienti erano riposizionati in posizione supina; venivano nuovamente pronati se avevano un PaO2/FIO2 < 150 mmHg dopo circa 6 orein posizione supina. Il ciclo delle pronazioni cessava quando il PaO2>/FIO2 diventava > 150 mmHg.

I pazienti che venivano pronati, trascorrevano effettivamenete quasi il 75% del tempo in posizione prona (ovviamente durante il periodo in cui avevano i criteri per la pronazione). La mortalità a 28 giorni (l’outcome principale dello studio) è stata nettamente minore nel gruppo “prono” rispetto a quello “supino” (16% vs 33%, p<0.001). Un risultato eclatante, di cui dovremo certamente tenere conto nella ventilazione dei nostri pazienti con ARDS. Ma che merita qualche commento.

Dobbiamo innanzitutto ricordare che, tra i trial clinici sulla pronazione, lo studio PRESEVA è l’unico a dimostrarne chiaramente l’efficacia. Questo può essere spiegato da alcune caratteristiche dello studio PROSEVA: sono stati arruolati solo i pazienti più gravi, che sembrano essere i soggetti ideali per la pronazione (8); l’arruolamento è stato riservato ai pazienti che confermavano di avere una ARDS grave dopo 12-24 ore di osservazione, eliminando così sia i pazienti che muoiono subito, sia quelli che migliorano rapidamente (con o senza pronazione); il periodo di pronazione era prolungato, nettamente prevalente rispetto al tempo supino; allo studio hanno partecipato solo ed esclusivamente centri che utilizzano routinariamente la pronazione da almeno 5 anni.

Non possiamo però trascurare che i risultati dello studio PROSEVA potrebbero essere stati favoriti anche dalla selezione dei pazienti. Infatti nel periodo dello studio i centri partecipanti hanno ricoverato 3449 pazienti con ARDS ma solo 1434 (41.5%)  sono stati presi in considerazione (cioè “screenati) per la partecipazione allo studio. E purtroppo non possiamo conoscere le caratteristiche dei 2015 pazienti con ARDS non considerati per l’inclusione nello studio (i ricercatori non le hanno raccolte…). Sono forse stati involontariamente “scelti” pazienti con particolari caratteristiche? Un dato strano c’è: nello studio PROSEVA circa il 60% dei pazienti avevano una ARDS secondaria a polmonite, quasi il doppio dei rispetto allo studio della ARDSNet che confrontò la ventilazione a bassi ed alti volumi correnti (9).

Dobbiamo poi notare che nei pazienti pronati la pressione di plateau è rimasta, per tutta la prima settimana di studio, più bassa di quella dei pazienti non pronati. Certamente questo può essere un risultato della pronazione. Ma la riduzione della mortalità è legata alla riduzione della pressione di plateau o alla pronazione? E se nel gruppo “supino” si fossero ridotte le pressioni di plateau riducendo il volume corrente (il margine c’era, in fondo il pH medio era circa 7.40)?

Infine, dobbiamo considerare questi dati sono stati ottenuti con un protocollo che non considerava l’individualizzazione del trattamento dei pazienti sui dati di meccanica respiratoria: la PEEP è stata scelta con una tabella PEEP/FIO2 che ha portato pazienti con ARDS grave a ricevere mediamente PEEP tra gli 8 ed i 9 cmH2O e la pressione di plateau limitata a 30 cmH2O. Nessuno spazio a punto di flesso, driving pressure, elastanza volume-dipendente, pressione transpolmonare, stress index. Un modo facile, ma probabilmente non intelligente, di scegliere la PEEP e volume corrente per limitare stress e atelettrauma… Ripensiamo alla signora Pina (vedi post del 21 febbraio 2013)…

Ci sarebbe molte altre considerazioni da fare sullo studio PROSEVA, se ci sarà l’occasione le valuteremo nei commenti.

In conclusione, con le conscenze finora a nostra disposizione, quando e come dovremo utilizzare la posizione prona nella pratica clinica? Ecco un possibile utilizzo razionale della pronazione:
– dovrebbe essere utilizzata precocemente nei pazienti con ARDS grave (PaO2/FIO2 < 150 mmHg);
– dovrebbe essere prolungata (tra le 15 e le 18 ore consecutive con intervalli di 4-6 ore in posizione supina);
– dovrebbe essere proseguita fintantochè la ARDS rimane grave, cioè fino a quando il PaO2/FIO2, nei periodi di posizione supina, non arriva a superare i  150 mmHg;
– bisogna ricordare che esistono controindicazioni: ad esempio tra i criteri di esclusione del PROSEVA c’erano ipertensione intracranica, politrauma, ipotensione.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

PS: avevo promesso un post su MIP/NIF: sarà il prossimo, a meno di altre novità…

Bibliografia.

1) Lamm WJ et al. Mechanism by which the prone position improves oxygenation in acute lung injury. Am J Respir Crit Care Med 1994;150:184-93
2) Mentzelopoulos SD et al. Prone position reduces lung stress and strain in severe acute respiratory distress syndrome. Eur Respir J 2005; 25:534-44
3) Galiatsou E et al. Prone position augments recruitment and prevents alveolar overinflation in acute lung injury. Am J Respir Crit Care Med 2006;174:187-97
4) Gattinoni L et al. Effect of prone positioning on the survival of patients with acute respiratory failure. N Engl J Med 2001;345:568-73
5) Guerin C et al. Effects of systematic prone positioning in hypoxemic acute respiratory failure: a randomized controlled trial. JAMA 2004;292:2379-87
6) Taccone P et al. Prone positioning in patients with moderate and severe acute respiratory distress syndrome: a randomized controlled trial. JAMA 2009;302:1977-84
7) Mancebo J, Fernández R, Blanch L, et al. A multicenter trial of prolonged prone ventilation in severe acute respiratory distress syndrome. Am J Respir Crit Care Med 2006;173:1233-9
8) Sud S et al. Prone ventilation reduces mortality in patients with acute respiratory failure and severe hypoxemia: systematic review and meta-analysis. Intensive Care Med 2010;
9) ARDS Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional for acute lung injury and the acute respiratory distress sindrome. N Engl J Med 2000, 342:1301-8

Monday, May 20, 2013

P0.1 (pressione di occlusione delle vie aeree): cosa è, come utilizzarla.

Molti amici di ventilab mi hanno chiesto di dedicare un po’ di spazio alla P0.1. Volentieri affronto quindi l’argomento, anche perchè la possibilità di misurare la P0.1 è sempre più frequente sui nostri magnifici ventilatori meccanici. E, come tutte le cose, la si deve conoscere bene per usarla in maniera appropriata.

La P0.1 è sempre stata un oggetto un po’ misterioso per chi non si dedica specificatamente alla fisiopatologia respiratoria. Ricordo a tal proposito un episodio che risale ad oltre 20 anni fa: ad un congresso un chairman poco esperto di fisiopatologia respiratoria doveva moderare una sessione in cui c’era una relazione sulla P0.1, che fu presentata in questo modo: “Ed ora abbiamo il piacere di sentire una interessantissima relazione del dott. xxxxxxx sulla PO1″ (il problema fu che invece di “zero” lesse “O” come la lettera dell’alfabeto!). Niente di male, solo la sfortuna di doversi occupare (soprattutto allora) di un argomento spesso riservato agli “iniziati”….

Cosa è la P0.1

La P0.1, che nella letteratura scientifica è chiamata anche pressione di occlusione delle vie aeree (airway occlusion pressure), è la misura della riduzione della pressione (P) delle vie aeree nel primo decimo di secondo (da qui il nome 0.1) di un’inspirazione con vie aeree occluse.

Chiariamo meglio il concetto con una rappresentazione grafica. Guardiamo la seconda curva (quella della pressione delle vie aeree Paw) nella figura a lato. La prima linea tratteggiata verticale indica il momento in cui inizia un’inspirazione triggerata dal paziente. Per misurare la P0.1 questa inspirazione deve iniziare contro una via aerea occlusa per almeno 0.1 secondi ed il paziente deve essere ignaro di questa occlusione. Essendo la via aerea occlusa, in questi 0.1 secondi il paziente non riceverà alcuna insufflazione dal ventilatore (non riuscirà quindi nemmeno ad attivare il trigger) e si avrà una riduzione della pressione nelle vie aeree. La differenza di pressione delle vie aeree tra valore di fine espirazione e quello rilevato dopo 0.1 secondi di occlusione è la P0.1.

Perchè il paziente non deve essere consapevole di questa occlusione? Perchè proprio 0.1 secondi? La P0.1 viene proposta come misura del drive respiratorio centrale, cioè del livello di attivazione del centro del respiro. Tanto maggiore è il drive respiratorio, tanto maggiore sarà la forza con cui i muscoli respiratori si contraggono e quindi la depressione che essi generano contro una via aerea occlusa. A noi interessa quindi la pressione sviluppata dai muscoli respiratori per effetto della sola attività involontaria del centro respiratorio. Quindi tutte le influenze corticali devono essere abolite e per ottenere questo risultato il soggetto deve essere inconsapevole. Quando però occludiamo le vie aeree, introduciamo una perturbazione rispetto alla normale attività respiratoria che potrebbe essere percepita dal soggetto e quindi modificarne l’output del centro respiratorio. Si ritiene però che nel breve lasso di tempo di 0.1 secondi l‘occlusione non sia percepita e quindi l’attività dei muscoli respiratori non possa essere influenzata. Nello studio di Whitelaw, Derenne e Milic-Emili che introdusse la P0.1 nella fisiologia applicata , si osservò che solo dopo 0.25 secondi si notavano segni suggestivi di modificazioni dell’attività del centro del respiro indotte dall’occlusione delle vie aeree.

Limiti della P0.1.

Ammetto di avere una certa diffidenza verso la P0.1. Prima di tutto perchè ritengo che non sia mai stato dimostrato in modo convincente che la P0.1 sia un buon indicatore quantitativo del drive respiratorio.

Nello storico studio di Whitelaw sono stati arruolati solo 10 giovani maschi sani di età compresa tra i 15 ed i 34 anni ed è stata solamente valutata la variazione della P0.1 con l’ipercapnia. Nemmeno studi successivi non hanno mai chiaramente validato la P0.1 come misura del drive respiratorio.

Inoltre nei pazienti con disturbi neuro-muscolari la P0.1 può non riflettere il drive respiratorio: anche se questo fosse elevato, la capacità di generare pressione da parte dei muscoli respiratori è ridotta a causa del danno nervo-muscolare. E siamo ormai sempre più consapevoli che questo è un problema frequente in Terapia Intensiva (ICU-acquired weakness, ventilatory induced diaphragmatic dysfunction). A questo va aggiunto che la P0.1 può essere alterada variazioni del volume polmonare di fine espirazione (generate dalla PEEP o dalla PEEPi), che possono alterare la relazione tra tensione muscolare e pressione sviluppata.

Infine l’utilizzo della P0.1 nella ricerca clinica è stato a volte improprio e comunque ha portato a risultati contrastanti: quindi pochissimi dati convincenti dalla letteratura scientifica.

Utilizzo pratico della P0.1.

Consapevoli di questi limiti, la P0.1 può essere comunque di aiuto al letto del paziente. Vediamo un possibile approccio pratico all’utilizzo della P0.1.

1) P0.1 < 1-2 cmH2O.
Analizzando il resto dei dati a nostra disposizione, dobbiamo capire quale di queste tre condizioni è vera:
a) l’assistenza ventilatoria è eccessivamente elevata: questo mette “a riposo” il centro del respiro e quindi la P0.1 è bassa. Implicazione pratica: riduciamo il livello di supporto; se quest’ultimo non fosse in realtà molto elevato, potrebbe essere una buona idea far fare al paziente un bel trial di respiro spontaneo (se tutte le altre condizioni per il weaning sono presenti);
b) il paziente è sedato: la sedazione deprime il centro del respiro, puoi usare la P0.1, insieme agli altri monitoraggi, per ottimizzare il livello di sedazione;
c) il paziente è affetto da debolezza muscolare: questo è da sospettare soprattutto se la riduzione del supporto inspiratorio determina un respiro rapido e superficiale associato a bassi valori di P0.1. In questo caso è utile misurare la MIP (maximum inspiratory pressure)  o la NIF (negative inspiratory force) con uno sforzo massimale del paziente a vie aeree chiuse.

2) P0.1 > 5-6 cmH2O.
In questo caso l’interpretazione è più semplice: il drive respiratorio è elevato, in altre parole il cervello del paziente “sente” fame d’aria e stimola il paziente a respirare intensamente. Quando abbiamo una P0.1 elevata, il paziente ha elevate è probabilità di fallire lo svezzamento dalla ventilazione meccanica; dovremo anzi incrementare il supporto ventilatorio (o fare un uso giudizioso deilla sedazione).

Per valori intermedi (quindi 3-4 cmH2O), la P0.1 offre una segnale facilmente interpretabile.

Possiamo quindi concludere che la P0.1 non è un numero magico (come del resto pochi ce ne sono in medicina), ma che può, nell’ottica di una valutazione multiparametrica della ventilazione, migliorare la nostra conoscenza del paziente ventilato e quindi il modo di utilizzare la ventilazione meccanica.

Un caro saluto a tutti.

Bibliografia.

– Alberti A et al. P0.1 is a useful parameter in setting the level of pressure support ventilation. Intensive Care Med 1995; 21:547-53
– Berger KI et al. Mechanism of relief of tachypnea during pressure support ventilation. Chest 1996; 109:1320-7
– Del Rosario N et al. Breathing pattern during acute respiratory failure and recovery. Eur Respir J 1997; 10:2560-5
– de Souza LC et al. Comparison of maximal inspiratory pressure, tracheal airway occlusion pressure, and its ratio in the prediction of weaning outcome: impact of the use of a digital vacuometer and the unidirectional valve.Respir Care 2012; 57:1285-90
– Fernandez R et al. P0.1/PIMax: An index for assessing respiratory capacity in acute respiratory failure. Intensive Care Med 1990; 16:175-9
– Fernandez R et al. Extubation failure: Diagnostic value of occlusion pressure (P0.1) and P0.1-derived parameters. Intensive Care Med 2004; 30:234-40
– Hilbert G et al. Airway occlusion pressure at 0.1 s (P0.1) after extubation: An early indicator of postextubation hypercapnic respiratory insufficiency. Intensive Care Med 1998; 24:1277-82
– Mancebo J et al. Airway occlusion pressure to titrate Positive End-expiratory Pressure in patients with dynamic hyperinflation. Anesthesiology 2000; 93: 81-90
– Milic-Emili J et al. Occlusion pressure: a simple measure of the respiratory center’s output. N Engl J Med 1975; 293:1029-30
– O Perrigault PF et al. Changes in occlusion pressure (P0.1) and breathing pattern during pressure support ventilation. Thorax 1999; 54:119-23
– Sassoon CSH et al. Airway occlusion pressure and breathing pattern as predictors of weaning outcome. Am Rev Respir Dis 1993; 148:860-6
– Whitelaw WA et al.Occlusion pressure as a measure of respiratory center output im conscious man. Respir Physiol 1975; 23:181-99

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