Sunday, February 28, 2010

Sedazione e ventilazione meccanica. Anestesia o Rianimazione?

Maria è una donna di circa 60 anni ricoverata in Terapia Intensiva. Ha avuto una serie di complicanze che hanno reso necessaria una laparotomia con gestione aperta, anzi apertissima…Ogni giorno riceve indaginose medicazioni all’addome.

Inizialmente è stata sedata con infusione continua di propofol e remifentanil. A fatica si è riusciti a sospendere il propofol superando le resistenze di chi diceva “ma poverina…”.

Poi si è cercato di sospendere anche il remifentanil. Qui è stata ancora più dura, perchè per molti Maria aveva dolore ed era quindi giustificato mantenere l’analgesia.

Maria era vigile ma non collaborante ed il dolore è difficilmente valutabile in queste condizioni. Una pancia aperta fa male dopo 4-5 giorni dalla laparotomia?

Alla fine si è riusciti a sospendere anche l’infusione continua di analgesico.

Ora Maria è ben vigile e collaborante, talora agitata, e non lamenta dolore nemmeno con la sua pancia aperta. Riceve fugaci sedazioni con propofol ogni giorno quando viene medicata. E riesce a respirare da sola (è tracheotomizzata) per qualche ora quasi tutti i giorni.

Abbiamo fatto bene a sospendere la sedazione?

Una risposta a questa domanda ci viene offerta da uno studio recentemente pubblicato su Lancet (1). In una Terapia Intensiva danese 140 pazienti con ventilazione meccanica sono stati randomizzati per ricevere sedazione con interruzione quotidiana oppure nessuna sedazione salvo evidente indicazione clinica. Il risultato principale è stato una rilevante riduzione sia dei giorni di ventilazione meccanica* che della degenza in Terapia Intensiva ed in Ospedale nei pazienti che non sono stati sottoposti a sedazione di routine. In aggiunta vi è una chiara tendenza alla riduzione della mortalità in Terapia Intensiva nei pazienti non sedati.

Il messaggio fondamentale è che la sedazione non debba essere utilizzata se non strettamente indispensabile per la gestione clinica del paziente o per il trattamento del dolore acuto.

Noi Anestesisti-Rianimatori dovremmo essere meno anestesisti e più rianimatori quando lavoriamo in Terapia Intensiva. In questo contesto un eccesso di zelo nel comfort del paziente rischia di allontanarci dall’obiettivo finale: una dimissione rapida con esito favorevole.

1) Strøm T. A protocol of no sedation for critically ill patients receiving mechanical ventilation: a randomised trial. Lancet 2010; 375: 475 – 480.

*La media dei giorni senza ventilazione nei primi 28 giorni è stata di 18 giorni nei pazienti non sedati e di 6.9 giorni in quelli con sedazione.

Wednesday, February 17, 2010

Ventilazione meccanica e monitoraggio

Qualche mese fa avevo  ricoverato nella mia Terapia Intensiva un paziente con insufficienza respiratoria acuta dopo ARDS secondaria a polmonite comunitaria. I grafici che vedi sono stati registrati mentre era ventilato in pressione assistita 15 cmH2O, PEEP 10 cmH2O e FIO2 0.5. Il volume corrente era di 590 ml e la frequenza respiratoria di 28 respiri al minuto. All’emogasanalisi arteriosa abbiamo rilevato pH 7,46, PaCO2 39 mmHge PaO2 110 mmHg.

Come interpreti il monitoraggio grafico che vedi? Pensi ti possa fornire informazioni aggiuntive rispetto ai dati numerici che ti ho appena fornito? Ritieni ti possa aiutare a ventilare meglio il paziente?

Prova a rispondere a queste tre domande, tra qualche giorno ti daro’ il mio punto di vista.

A presto.

Tuesday, February 9, 2010

Svezzamento dalla ventilazione meccanica: perchè qualcuno ce la fa ed altri no?

A chi non è mai capitato di vedere per settimane un paziente dipendente dalla ventilazione artificiale? Una situazione penosa per il malato, frustrante per i curanti, onerosa per il sistema sanitario.

La dipendenza dalla ventilazione meccanica è dovuta o ad un elevato carico di lavoro per i muscoli respiratori, o ad una loro debolezza, o ad entrambe le condizioni associate. Quando un paziente resta a lungo dipendente dalla ventilazione artificiale, cosa non funziona? Prevale un elevato carico respiratorio o invece la debolezza dei muscoli respiratori?

Un elegante studio italiano su pazienti con weaning prolungato (1) ci mostra che i pazienti che alla fine riescono ad essere svezzati non hanno carichi di lavoro respiratorio diversi da quelli che invece non riescono ad essere svezzati. La persistente debolezza dei muscoli respiratori, ed in particolare del diaframma, rappresenta la vera differenza tra chi ce la fa e chi non ce la fa. I pazienti svezzati riescono ad aumentare la forza dei muscoli respiratori mentre chi non riesce ad essere svezzato mantiene una persistente debolezza.

L’implicazione clinica di questa osservazione è rilevante: il nostro primo obiettivo durante il weaning deve essere quello di lavorare sui muscoli respiratori per aumentarne la capacità di generare pressione.

Sappiamo che i muscoli si indeboliscono sia quando sono affaticati sia quando vengono utilizzati poco.

Come facciamo a riconoscere fatica e riposo dei muscoli respiratori durante il periodo dello svezzamento dalla ventilazione artificiale? Uno strumento semplice ed efficace è il monitoraggio grafico della ventilazione, che quindi ha una valenza clinica rilevante. Prossimamente vedremo nella pratica come riconoscere un paziente troppo assistito dal ventilatore da un paziente troppo caricato di lavoro durante le ventilazioni assistite.

Reference.

1) Carlucci A et al. Determinants of weaning success in patients with prolonged mechanical ventilation. Critical Care 2009, 13:R97

Saturday, February 6, 2010

Il rapporto PaO2/FiO2

Utilizziamo quotidianamente il rapporto PaO2/FiO2 nella cura dei nostri pazienti ventilati per insufficienza respiratoria acuta ed il suo valore costituisce, per consenso scientifico, elemento di quantificazione della gravità dell’insufficienza respiratoria. Tale rapporto si modifica al variare della FiO2  nonostante l’intento degli utilizzatori sia proprio il contrario.

Nel suo lavoro sperimentale Karbing dimostra come il suo modello matematico a due parametri sia più efficiente di un modello ad un solo parametro nel prevedere le variazioni di PaO2/FiO2 e per far questo utilizza delle misurazioni cliniche.

Il lavoro di Karbing ci porta a fare alcune considerazioni:

  • la maggior efficienza di un modello matematico a due parametri conferma che l’ipossiemia può riconoscere diverse cause (tra cui shunt vero e alterato rapporto ventilazione/perfusione) quasi sempre presenti contemporaneamente e pertanto con effetti non prevedibili su PaO2 e ratio derivanti dall’aumento della FiO2
  • il rapporto PaO2/FiO2 è influenzato dalla FiO2 e questo può portare pazienti classificati come ALI a diventare ARDS se aumentiamo la FiO2, riproponendo la problematica di un più preciso consenso sulla definizione dell’insufficienza respiratoria; inoltre c’è il rischio che la valutazione delle nostre scelte terapeutiche possa essere complicata.

Personalmente ritengo che il messaggio più importante che si può ricevere da lavori come questo, ostico e in prima istanza lontano da un ambito strettamente clinico, è quello legato al nostro lavoro quotidiano: il rapporto PaO2/FiO2 non può essere l’unico parametro con cui valutare il risultato delle nostre terapie; clinicamente l’obiettivo non deve essere il più alto ratio possibile ma una PaO2 “adeguata” con il più basso valore possibile di FiO2 ad un determinato livello di assistenza respiratoria. Il traguardo della cura dell’insufficienza respiratoria acuta è infatti evitare di danneggiare il polmone permettendogli di riparare il danno e arrivare allo svezzamento dalla ventilazione.

Karbing DS et al. Variation in the PaO2/FiO2 ratio with FiO2: mathematical and experimental description, and clinical relevance. Crit Care. 2007;11(6):R118.

Riley RL, Cournand A: Analysis of factors affecting partial pressures of oxygen and carbon dioxide in gas and blood of lungs: theory. J Appl Physiol 1951, 4:77-101.

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