Saturday, March 30, 2013

Rise time (o tempo di salita o rampa): come regolarlo durante la ventilazione assistita.

Quando accediamo il ventilatore per iniziare la ventilazione meccanica di un nuovo paziente, siamo agevolati dall’impostazione di default che ci viene offerta. E’ vero che il setting del ventilatore deve essere deciso caso per caso, ma, quando dobbiamo agire in fretta, è certamente di aiuto iniziare la ventilazione meccanica con un’impostazione ragionevole per la maggior parte dei pazienti. E , dopo pochi minuti, ragionando con calma, possiamo rendere più personalizzata la regolazione dei comandi della ventilazione.

In questo processo però ci sono comandi “forti” e comandi “deboli”. Non vi è dubbio che volume corrente o pressione da applicare, PEEP e, quando richiesto, frequenza respiratoria siano comandi “forti”: nessuno di noi si dimentica mai di adeguarli. Ma accanto a questi vi sono dei comandi “deboli”, cioè che non sempre prendiamo in considerazione e che magari tendiamo a lasciare con l’impostazione di default. Tra questi, il rise time (o tempo di salita o rampa, sono tutti la stessa cosa).

Cosa è il rise time.

Per capire bene cosa è il rise time, ricordiamo brevemente i principi di funzionamento delle due famiglie di ventilazione meccanica che utilizziamo ogni giorno: la pressometrica e la volumetrica.

Nelle ventilazioni pressometriche il comando che diamo al ventilatore è di raggiungere e mantenere una certa pressione (traccia gialla in alto nella figura 1). Viene quindi generato un flusso decrescente, le cui caratteristiche dipendono dalla meccanica respiratoria del paziente ed eventualmente dalla sua interazione con il ventilatore ventilatore.

Figura 1

Nelle ventilazioni volumetriche invece il comando che diamo al ventilatore è quello di raggiungere e mantenere un certo flusso (traccia verde in basso nella figura 2). In questo caso sarà la curva di pressione che dipende dalle stesse variabili che modificano il flusso nelle ventilazioni pressometriche.

Figura 2

Abbiamo di certo notato che le curve che comandano la ventilazione (la pressione nelle pressometriche ed il flusso nelle volumetriche) hanno in comune una cosa: la forma rettangolare.

Il rise time è il tempo impiegato dalla pressione per raggiungere, dall’inizio dell’inspirazione, il proprio valore finale (quello che noi abbiamo impostato). Questo nelle ventilazioni pressometriche. Mentre nelle ventilazioni volumetriche è il tempo necessario per raggiungere il valore di flusso costante dal momento in cui inizia il flusso inspiratorio. In altre parole è il tempo impiegato dalla curva che “comanda” la ventilazione per arrivare da zero al proprio valore massimo, su cui poi si stabilizza.

Come regolare il rise time.

Da quello che abbiamo appena detto il tempo di salita esprime la rapidità con cui inizia l’insufflazione. La regolazione del rise time è importante soprattutto nei pazienti che interagiscono con il ventilatore, mentre è molto meno importante nei pazienti passivi. Poichè le ventilazioni assistite sono più spesso pressometriche, tratteremo queste nel dettaglio.

Se tu fossi un paziente con insufficienza respiratoria, vorresti che l’aria ti fosse erogata lentamente o velocemente? Per analogia, quando hai molta sete, desideri bere lentamente o velocemente? Penso che tutti siamo d’accordo sulla risposta: quando hai sete (d’aria o di acqua) preferisci avere subito ciò che desideri. Quindi il rise time deve essere impostato breve. Esistono evidenze che ci mostrano che rise time lento aumenta lavoro respiratorio ed asincronie (1-5). Dobbiamo stare attenti perchè alcuni ventilatori che di default impostano un tempo di salita  piuttosto lento: in questi casi è bene modificare subito l’impostazione del rise time.

Una rampa troppo veloce genere disagio al paziente ed è mal tollerata, il paziente viene investito da un flusso di aria superiore a quello che riesce ad inspirare (come quando si ha sete e si beve però troppo velocemente: a volte l’acqua va di traverso).

Il rise time si misura in frazioni di secondo. Qualche ventilatore ha un’impostazione molto intuitiva: bisogna scegliere il tempo di rise time (spesso in millisecondi), qualche altro ci complica leggermente la vita perchè lo esprime come percentuale del tempo inspiratorio. Comunque sia, più è basso il numero, più veloce è il rise time. Esistono poi dei ventilatori (molto simpatici….) che indicano con 100% un rise time istantaneo, mentre se la percentuale si abbassa il tempo di salita aumenta: in questo caso, più è basso è il numero, più lento è il rise time. Bisogna quindi conoscere i propri ventilatori.

Il mio approccio personale al rise time è questo: imposto inizialmente un tempo di salita leggermente più lento rispetto alla massima velocità (ad esempio 50-100 millisecondi o 1-2% del tempo inspiratorio, a seconda del ventilatore che utilizzo). Quindi mi regolo in base alla risposta clinica.

Come capire se il rise time è impostato correttamente.

Figura 3

L’unico modo di capire se il rise time  è impostato correttamente o meno, è quello di guardare il monitoraggio grafico e, se collaborante, chiedere al paziente. Nella figura 3 vediamo schematizzata la curva di pressione di una inspirazione in una ventilazione pressometrica (potrebbe essere una pressione di supporto o una assistita-controllata pressometrica). La traccia rossa continua rappresenta la curva in un paziente ben assistito con un rise time veloce e appropriato. Quando la pressione sale lentamente (figura 3, fase B, linea tratteggiata, freccia con il numero 2) potrebbe essere corretto rendere il tempo di salita più veloce. Se poi il paziente fosse anche dispnoico o avesse bassi volumi correnti ed una frequenza respiratoria elevata, prima di aumentare il supporto inspiratorio diventerebbe importante accelerare la rampa.

Viceversa se notiamo un picco di pressione all’inizio dell’insufflazione (fase B, linea tratteggiata, freccia con il numero 1 nella figura 3) è opportuno rallentare il rise time. Se il paziente è collaborante, ci riferirà probabilmente un certo livello di discomfort legato all’eccesso di aria che lo investe all’inizio dell’inspirazione. Se la rampa è troppo veloce, a volte si vede la curva di pressione che presenta un inizia a denti di sega decrescenti.

Prima di concludere lascio l’immagine senza commento di un rise time, per chi ha il piacere di provare a ragionarci sopra. I commenti dei lettori sono i benvenuti.

In conclusione, abbiamo capito che è importante regolare bene anche il rise time (o tempo di salita o rampa):

– un rise time troppo lungo (=lento) determina un aumento delle asincronie e del lavoro respiratorio, ed un minor volume corrente;

– un tempo di salita troppo rapido (=breve) può dare discomfort;

– il monitoraggio grafico è essenziale per capire se l’impostazione della rampa è appropriata: il ritardato raggiungimento della pressione impostata richiede un tempo di salita più breve, mentre un rise time più lungo è opportuno se vi sono uno o più piccoli picchi sulla parte iniziale della traccia di pressione.

Un augurio di Buona Pasqua a tutti gli amici di ventilab.

 

Bibliografia.

1) Bonmarchand G et al. Increased initial flow rate reduces inspiratory work of breathing during pressure support ventilation in patients with exacerbation of chronic obstructive pulmonary disease. Intensive Care Med 1996;22:1147-54

2) Bonmarchand G et al. Effects of pressure ramp slope values on the work of breathing during pressure support ventilation in restrictive patients. Criti Care Med 1999;27:715-22

3) Chiumello D et al. The effects of pressurization rate on breathing pattern, work of breathing, gas exchange and patient comfort in pressure support ventilation. Eur Respir J 2001;18:107-14

4) Costa R et al. Influence of ventilator settings on patient-ventilator synchrony during pressure support ventilation with different interfaces. Intensive Care Med 2010;36:1363-70

5) Gonzales JF et al. Comparing the effects of rise time and inspiratory cycling criteria on six different mechanical ventilators. Respir Care 2013;58:465-73

Sunday, March 17, 2013

Lo svezzamento (weaning) dalla ventilazione meccanica: quando e come.

Lo svezzamento (o weaning) dalla ventilazione meccanica è l’obiettivo che ci poniamo in tutti i pazienti che iniziamo a ventilare. E’ però importante giungere allo svezzamento dalla ventilazione meccanica nei tempi e nei modi più efficaci.

Oggi vorrei presentare il caso del signor Paolo, un uomo di  68 anni ricoverato in Terapia Intensiva per una polmonite che ha complicato un’emorragia cerebrale. Dopo un paio di settimane dal ricovero è tracheotomizzato, apre gli occhi ed a tratti è in grado di dimostrare contenuti di coscienza. E’ ventilato in NAVA (Neurally Adjusted Ventilatory Assist), una modalità di ventilazione assistita guidata dall’attività elettrica diaframmatica modulando durante la giornata il livello di assistenza inspiratoria. Ha una PaO2 di 98 mmHg con PEEP 8 cmH2O e FIO2 0.5, è normocapnico (PaCO2 38 mmHg) e sempre moderatamente tachipnoico (25-35 respiri/minuto) con volume corrente spesso tra i 300 ed i 350 ml.

Poniamoci due domande: 1) è ora di iniziare lo svezzamento dalla ventilazione meccanica? 2) Se sì, come procedere?

Quando iniziare lo svezzamento dalla ventilazione meccanica.

Il primo punto è capire se un paziente può essere preso in considerazione per il weaning. Se non ci sono le condizioni per poter pensare allo svezzamento, non ci si deve nemmeno pensare. Non ritengo sia corretto pensare che il weaning inizi nel momento in cui si intuba un paziente. Pensiamo, ad esempio, ai casi di trauma cranico grave, di ARDS grave, di shock settico con insufficienza multiorgano: nella fase più acuta il weaning deve essere dimenticato e ci si deve concentrare sul trattamento della fase acuta della malattia.

Non si deve però indugiare quando si intravedono le condizioni per poter eventualmente sospendere la ventilazione meccanica. E queste condizioni ci sono se un paziente durante la ventilazione meccanica riesce a mantenere una sufficiente ossigenazione del sangue (una saturazione arteriosa non inferiore a 90% con PaO2/FIO2 > 150 mmHg ed una PEEP non superiore ad 8 cmH2O), senza segni che possano far ipotizzare un eccessivo carico o debolezza dei muscoli respiratori (la frequenza respiratoria è inferiore a circa 35/min, il volume corrente è di almeno 300-350 ml e non vi è acidosi respiratoria). Oltre a questo evidentemente dobbiamo considerare che non vi siano segni di shock o gravi aritmie e che non vi sia in corso una sedazione con un paziente non risvegliabile.

Dobbiamo poi valutare se stiamo decidendo fare un’estubazione o se pensiamo di fare respirare spontaneamente un paziente tracheotomizzato: solo nel primo caso sono indispensabili la presenza di tosse e deglutizione efficaci ed una ridotta quantità di secrezioni bronchiali.

Quindi cosa concludiamo per il signor Paolo? Io non ho avuto dubbi, ed ho scritto sulla cartella clinica come programma della giornata una sola parola: “weaning”.

Come si fa il weaning.

Semplificando, “fare weaning” vuol dire far respirare il paziente da solo e vedere cosa succede. Nulla di più, nulla di meno. Ritengo inutili perdite di tempo atteggiamenti più prudenti, come ad esempio la progressiva riduzione di giorno in giorno del livello di assistenza respiratoria fino ad arrivare a pochi cmH2O di pressione di supporto.

Si valuta la capacità del paziente di respirare da solo con un “trial di respiro spontaneo“, che può essere effettuato in 3 modi diversi, tra loro alternativi: 1) si distacca il paziente dal ventilatore e lo si mette a respirare con un supplemento di ossigeno e l’umidificazione dei gas (tubo a T); 2) si lascia il paziente connesso al ventilatore CPAP < 5 cmH2O; 3) si ventila il paziente con un basso livello di pressione di supporto (ad esempio 5 cmH2O) senza PEEP.

I tre metodi non sono equivalenti. Non esistono evidenze chiare per convincerci che uno dei tre approcci sia migliore degli altri due, deve essere il buon senso e l’esperienza clinica che ci guida nella scelta. Posso dire quello che faccio io, a puro titolo di esempio e di contributo alla discussione: nel paziente trachetomizzato preferisco il tubo a T, magari preceduto da un breve periodo di CPAP, giusto per capire se è in grado di sopportare la respirazione spontanea; nel paziente intubato o utilizzo il tubo a T oppure scelgo una pressione di supporto di 5 cmH2O se ho un paziente fragile con elevato spazio morto (filtro HME) e/o un tubo tracheale di piccolo diametro.

Qualunque metodo si scelga, è importante definire degli obiettivi chiari per il trial di respiro spontaneo. Il trial sarà superato se per 30 minuti non si saranno presentati i criteri di fallimento (vedi sotto). La durata del trial di respiro spontaneo è importante: nel mio reparto facciamo suonare una sveglia al trentesimo minuto dall’inizio del trial per ricordarci che in quel momento dobbiamo prendere una decisione (e scriverla sulla cartella clinica), soprattutto se il paziente è intubato. Bisogna evitare di dimenticarsi il paziente con il tubo a T perchè questa modalità di respirazione è piuttosto faticosa e se si prolunga si può generare fatica anche in pazienti estubabili, ritenere erroneamente fallito il test e quindi mantenere inutilmente la ventilazione meccanica.

Un paziente potrà essere estubato (o il respiro spontaneo proseguito nei pazienti trachetomizzati) se si termineranno i 30 minuti di trial di respiro spontaneo senza ipossiemia (SaO2 > 88-90 % con ossigenoterapia), se non si sviluppa ipercapnia ed acidosi, se la frequenza respiratoria è inferiore a 35/min (circa), se il paziente non lamente dispnea e non utilizza i muscoli accessori della ventilazione (oltre a mantenere una stabilità cardiocircolatoria). Se il trial di respiro spontaneo fallisce, bisogna riprendere una buona ventilazione meccanica adeguando il livello di assistenza respiratoria alle necessità del paziente. E il giorno dopo si riproverà il trial di respiro spontaneo, sempre, ostinatamente (se persistono le condizioni, ovviamente).

I criteri di fallimento del trial di respiro spontaneo devono essere elastici e devono essere adattati sia alle caratteristiche dei singoli pazienti che alle strategie che si attueranno dopo l’estubazione (ad esempio la ventilazione non-invasiva).

E il nostro Paolo come è andato a finire? Il primo giorno in cui è stato deconnesso dal ventilatore è rimasto 12 ore in respiro spontaneo, venendo ricollegato solo la sera per la comparsa di tachipnea. Anche il secondo giorno è stato trascorso quasi tutto in respiro spontaneo, richiedendo nella notte un periodo di pressione di supporto. Dal terzo giorno è rimasto in respiro spontaneo ininterrottamente per una settimana ed ora è pronto alla dimissione in riabilitazione. In questa fase è opportuno evitare periodi di ventilazione meccanica “preventivi”, fatti a scopo pseudo-caritatevole: prolungheremmo inutilmente il periodo di ventilazione, senza capire se il paziente ne potrà fare veramente a meno.

Per concludere, possiamo sottolineare i punti più importanti del weaning dalla ventilazione meccanica:

  1. tutti i pazienti devono essere valutati tutti i giorni per vedere se possono essere considerati per lo svezzamento (e bisogna togliere il più presto possibile i sedativi per dare loro questa opportunità!!!);
  2. quando un paziente è pronto per il weaning, DEVE ESSERE MESSO A RESPIRARE DA SOLO (o quasi) per circa mezzora facendo un trial di respiro spontaneo;
  3. al termine del trial di respiro spontaneo bisogna per forza decidere qualcosa: se il trial è riuscito, il paziente DEVE ESSERE LIBERATO DALLA VENTILAZIONE MECCANICA, se il trial è fallito si deve riprendere la ventilazione meccanica e riprovare il giorno dopo;
  4. ogni fallimento del respiro spontaneo deve essere visto solo come una tappa di avvicinamento all’obiettivo finale. Non deve diventare il pretesto per la rinuncia al weaning nei giorni successivi.

Puoi trovare qui una sintesi di evidenze e raccomandazioni sul weaning:  Boles JM et al. Weaning from mechanical ventilation. Eur Respir J 2007; 29:1033-5.

Un caro saluto a tutti.

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