Tuesday, April 30, 2013

Ventilazione meccanica ed emodinamica: cosa fare (e perchè) quando l'ipotensione complica la ventilazione meccanica.

Ieri notte abbiamo intubato la signora Rosa, una settantenne ricoverata in Terapia Intensiva da alcuni giorni con una sepsi grave secondaria ad infezione delle vie urinarie.
All’inizio della ventilazione meccanica abbiamo avuto una brusca ipotensione, un’esperienza che penso tutti i lettori di ventilab ben conoscono. In questo caso non ci sono state gravi conseguenze, altre volte ho visto anche situazioni veramente drammatiche.
Perchè l’ipotensione quando iniziamo la ventilazione meccanica? Come affrontarla efficacemente?
L’interazione cuore-polmone è un argomento assolutamente affascinante ma anche terribilmente complesso che so bene di non poter affrontare in un post. Metteremo a fuoco quindi solo una parte del problema, cioè quella che ci porterà alla soluzione pratica del problema dell’ipotensione durante ventilazione meccanica.
Chi ama protocolli, procedure aziendali, flow-charts e bundles può saltare direttamente alle conclusioni (clicca qui).
Per tutti gli altri, un piccolo sacrifico in più: lo sforzo di capire per agire nel modo più appropriato nelle diverse situazioni, spesso complesse, che caratterizzazo l’unicità di ciascun paziente.

Il problema.

L’ipotensione.
Per prima cosa dobbiamo capire che l’ipotensione associata alla ventilazione meccanica può essere il segno di una riduzione della gittata cardiaca (cardiac output, CO). Ricordiamo che la pressione arteriosa sistemica si riduce se diminuiscono o la gittata cardiaca o le resistenze vascolari sistemiche (systemic vascular resistance, SVR) (o entrambe). Infatti quando si riduce la quantità di sangue che viene immessa nelle arterie (cioè la gittata cardiaca) diminuisce la pressione che il sangue esercita nelle arterie. Allo stesso modo se si ha vasodilatazione (cioè riduzione delle resistenze vascolari sistemiche) si riduce la pressione nei vasi arteriosi. Questo concetto è ben sintetizzato nella formula PA = CO x SVR.
Diversi meccanismi concorrono alla riduzione di gittata cardiaca durante ventilazione meccanica, quelli con le maggiori implicazioni terapeutiche sono l’aumento della pressione intratoracica, la sedazione e le alterazioni dell’equilibrio acido-base. Per oggi prendiamo in esame solo il primo di questi tre.

Pressione positiva intratoracica e gittata cardiaca.
Durante l’inspirazione spontanea la pressione intratoracica si riduce e questo si riflette in una riduzione della pressione venosa centrale (PVC). Al contrario, l’inspirazione durante ventilazione meccanica aumenta la pressione intratoracica e di conseguenza anche la pressione venosa centrale.
La relazione tra pressione venosa centrale e ritorno venoso è stata illustrata da Arthur Guyton quasi sessanta anni fa. Sebbene il modello di Guyton sia stato messo in discussione dal punto di vista teorico, le sue implicazioni pratiche sono però tuttora considerate valide anche dai suoi critici.

Da questa figura si può facilmente vedere come vi sia un’associazione tra aumento della PVC e riduzione del ritorno venoso quando la pressione venosa centrale varia tra la pressione atmosferica (Atm) e la pressione sistemica media (Pms), concetto a cui accenneremo tra poco. Sappiamo che, in condizioni di equilibrio, gittata cardiaca e ritorno venoso devono essere uguali: non può esistere per più di pochi battiti cardiaci una differenza tra il sangue che entra e quello che esce dal cuore. Quindi riduzione del ritorno venoso e riduzione della gitatta cardiaca sono la stessa cosa.

Nella figura a lato è schematizzato l’apparato cardiocircolatorio e la parte intratoracica è all’interno del rettangolo rosso. Il ritorno venoso è determinato dalla differenza di pressione (ΔP) tra le vene post-capillari e la PVC (oltre che dalle resistenze venose). Si ritiene che la pressione che troviamo nelle vene postcapillari sia molto simile alla pressione sistemica media, cioè la pressione che è presente nell’apparato cardiocircolatorio in assenza di flusso. E’ quindi evidente che l’aumento della PVC, riducendo il ΔP=Pms-PVC, può associarsi alla diminuzione del ritorno venoso e di conseguenza della portata cardiaca. A questo punto diventa evidente tutto quello che dobbiamo fare per mantenere costante il ritorno venoso: 1) aumentare del meno possibile la PVC e 2) aumentare la pressione nelle vene post-capillari, cioè la pressione sistemica media. In questo modo ripristineremo il ΔP che ci serve per mantenere un buon ritorno venoso.
Vediamo adesso come applicare questi concetti nella pratica clinica.

La soluzione.

Limitare l’aumento della PVC.
Per limitare l’aumento della PVC dobbiamo limitare l’aumento delle pressione intratoraciche, quindi limitare la pressione intrapolmonare. Il fattore più importante a questo scopo è ridurre al minimo indispensabile (o eliminare, nei casi più gravi) la PEEP. In questo caso per PEEP dobbiamo intendere la PEEP totale, cioè la somma di PEEP e PEEP intrinseca (PEEPi), che possiamo misurare con la manovra di occlusione delle vie aeree a fine espirazione (vedi post del 10/04/2011). Agendo sul ventilatore dovremo quindi ridurre o eliminare la PEEP. Per ridurre la PEEPi (quando presente), dobbiamo invece ridurre volume corrente, frequenza respiratoria e rapporto I:E (esempio 1:3 o 1:4).

Aumentare la pressione sistemica media.
La pressione sistemica media è determinata dallo “stressed volume”, cioè da quel volume di sangue che genera pressione nei vasi sanguigni. Un vaso sanguigno completamente vuoto ha al proprio interno una pressione transmurale di 0 mmHg (cioè la sua pressione interna è uguale a quella esterna). Come possiamo vedere nella figura a lato, il vaso sanguigno può essere riempito fino ad un certo volume senza alcun aumento della pressione (parte blu della linea), dopo di che ogni ulteriore aumento di volume determina un aumento della pressione interna al vaso (porzione rossa della linea).

Abbiamo due possibilità per aumentare lo “stressed volume” e quindi la pressione sistemica media: 1) riempire ancora di più il vaso sanguigno; 2) fare diventare il vaso più piccolo e rigido. L’approccio giusto non è sempre lo stesso: se pensiamo che il problema sia una riduzione di volume intravascolare (emorragia, disidratazione o dati derivanti dal monitoraggio emodinamico), la soluzione migliore è certamente la somministrazione di fluidi (e, nel frattempo, il “reclutamento” di sangue già disponibile con il sollevamento delle gambe o la posizione di Trendelemburg). Se viceversa si ritiene che il problema sia una riduzione del tono vascolare e quindi una vasodilatazione, la soluzione migliore è l’uso di un vasocostrittore (ad esempio la noradrenalina).

Che scelta abbiamo fatto nella nostra signora Rosa? Abbiamo preferito utilizzare i vasocostrittori, incrementando la dose di norepinefrina in infusione. Molti elementi hanno spinto a questo: la sedazione necessaria per l’intubazione determina un aumento della compliance dei vasi e quindi una riduzione della pressione sistemica media. Un vasocostrittore ripristina quindi lo stato dei vasi pre-sedazione. Inoltre nella sepsi possiamo mettere in conto che la vasodilatazione sia una concausa dell’ipotensione. Infine la maggior parte dei pazienti dopo un giorno di Terapia Intensiva non ha un deficit volemico: siamo infatti solitamente bravissimi a dare liquidi! A volte dimenticando che, se dati in eccesso, sono “velenosi”, associandosi ad un aumento della mortalità.

Mi fermo qui (ho superato le 1000 parole, mi complimento con chi è riuscito a leggere fino a questo punto) e cerco di riassumere le principali implicazioni pratiche di quanto abbiamo discusso.

In conclusione, in caso di ipotensione in corso di ventilazione meccanica:
1) non sottovalutiamola perchè potrebbe essere associata ad una bassa portata cardiaca (valutiamo quindi saturazione del sangue venoso centrale, lattati, diuresi, refilling capillare, ….)
2) la ventilazione deve essere orientata a ridurre la PEEP totale cioè la pressione di occlusione a fine espirazione (ovviamente se si ritiene che l’ipotensione si associ ad una bassa portata cardiaca): basso volume corrente, bassa frequenza respiratoria, bassa PEEP (ZEEP in caso di shock emorragico), basso I:E.
3) supporto di circolo: preferire un vasocostrittore nei pazienti sedati, con sepsi e senza segni di disidratazione o emorragia. Viceversa, prima ripristinare la volemia e quindi (o contemporaneamente) fare un buon uso della vasocostrizione.

Un saluto a tutti gli amici di ventilab. A presto.

Bibliografia.

– Brengelmann GL. A critical analysis of the view that right atrial pressure determines venous return. J Appl Physiol 2003; 94:849-59
– Henderson WR et al. Guyton – the role of mean circulatory filling pressure and right atrial pressure in controlling cardiac output. Critical Care 2010, 14:243
– Magder S. An approach to hemodynamic monitoring – Guyton at the bedside . Critical Care 2012, 16:236
– Reddi BAJ et al. Venous excess: a new approach to cardiovascular control and its teaching. J Appl Physiol 2005; 98: 356-64
– Sakr Y et al. High tidal volume and positive fluid balance are associated with worse outcome in acute lung injury. Chest 2005, 128:3098-108

Saturday, April 13, 2013

Rise time (tempo di salita/rampa) e monitoraggio grafico della ventilazione meccanica.

Nell’ultimo post abbiamo parlato del rise time (clicca qui per leggerlo). Alla fine del post è stata inserita l’immagine, senza commento, di un atto respiratorio che poteva far intuire quale fosse stata l’impostazione del rise time. Visto l’interesse per questo esercizio, oggi commentiamo insieme l’immagine proposta, cercando di cogliere le informazioni che ci può dare.

Per farlo utilizziamo il metodo “ventilab, l’approccio sistematico ABCDEF, che con semplicità ci può aiutare a fare una lettura sistematica delle curve del monitoraggio grafico della ventilazione meccanica  (vedi post del 13/08/2010, 20/08/2010, 29/08/2010, 12/03/2011, 08/05/2011, 20/02/2012, 29/02/2012).

La “A” del metodo “ABCDEF” ci dice di scegliere le due curve di monitoraggio che offrono informazioni importanti: queste sono le curve di pressione (cioè il grafico pressione-tempo) e di flusso (il grafico flusso-tempo).  Qui di seguito riproduciamo la schermata un po’ più ampia di quella presentata nel post del 30 marzo) con le due curve che ci interessano.

La qualità non è eccelsa, ma riconosciamo in alto la curva di pressione ed in basso quella di flusso. Le tacche sull’asse del tempo sono alla distanza di 1 secondo l’una dall’altra.

Il punto “B” ci dice di identificare la fase inspiratoria sulla curva di flusso, cioè quella in cui la traccia è al di sopra della linea dello zero. La “C” ricorda di osservare le variazioni della pressione delle vie aeree durante l’inspirazione: il rise time è un evento che si verifica all’inizio dell’inspirazione, quindi lo identificheremo in questa fase dell’analisi del monitoraggio grafico. Ed ecco la stessa immagine di prima, “attrezzata” per i commenti per ai punti “B” e “C”.

I due segmenti rossi delimitano la fase inspiratoria sulla traccia di flusso e sono stati proiettati su quella di pressione. La rampa all’inizio del flusso inspiratorio è il risultato dell’impostazione del rise time: in questo caso il tempo di salita è molto lento e copre un terzo dell’inspirazione, come messo in evidenza dal segmento bianco sotto la traccia di flusso. Trascorso il tempo di salita, durante il quale il flusso è crescente, il flusso inspiratorio diventa costante, segno che siamo di fronte a una ventilazione a volume controllato.

Durante il lungo rise time anche la pressione aumenta lentamenteSe facessimo una ventilazione assistita-controllata (cioè se il paziente fosse attivo), con una simile impostazione corriamo il rischio di assistere in maniera insufficiente il paziente durante la fase iniziale dell’inspirazione. Nel nostro caso non abbiamo questo problema, perchè il paziente sembra passivo durante l’insufflazione: questo è intuibile per il fatto che la curva di pressione cresce in maniera lineare e costante durante la fase di flusso inspiratorio costante. Quando invece il paziente è attivo ed insoddisfatto del flusso inspiratorio erogato dal ventilatore, si nota una concavità verso l’alto nella curva di pressione, come nell’esempio riprodotto qui a lato.

Il tempo di salità rapido è sempre preferibile ad uno lento: può essere un aiuto importante quanto il paziente inizia a respirare attivamente. Come descritto nel post precedente, è però opportuno limitare la velocità della rampa nei casi in cui questa si dimostri eccessiva: questo lo capiamo o per il discomfort manifestato dal paziente o, ancora una volta, grazie al monitoraggio grafico che mostra delle increspature sulla parte iniziale delle curve di flusso e pressione. Qui sotto puoi vedere un esempio durante ventilazione con pressione di supporto.

Sul rise time della nostra immagine iniziale, abbiamo detto tutto. Ci è bastato il “ABC”. Per completezza proseguiamo nell’analisi delle curve, visto che le fasi successive hanno attirato l’attenzione degli amici di ventilab. La “D” ci ricorda di valutare l’inizio dell’attivazione dei muscoli espiratori: nel caso che stiamo commentando non si osserva nulla di particolare, quindi passiamo subito alla fase “E”, cioè l’espirazione, che invece si presta ad alcune considerazioni. Rivediamo l’immagine qui sotto, preparata per il commento all’espirazione:

Vediamo che il flusso espiratorio inizia con un picco, come è normale che sia, ma successivamente, invece di osservare il decadimento esponenziale del flusso (tipico di una normale espirazione passiva), osserviamo delle cose “strane”. Nella porzione con le linee verticali punteggiate bianche ed arancioni vediamo il flusso espiratorio che oscilla sincrono con le oscillazioni sulla pressione delle vie aeree. Quando la pressione scende, il flusso espiratorio aumenta un po’, quando la pressione risale il flusso espiratorio tende a ridursi. Questi non sono sforzi inefficaci: 1) la forma non è tipica; 2) sono troppo ravvicinati (3 oscillazioni in mezzo secondo, quindi ad una frequenza di 360/minuto, ben diversa da quelle della respirazione spontanea); 3) sono all’inizio dell’espirazione; 4) le variazioni di pressione sono opposte a quelle che si associano agli sforzi inefficaci. Questi fenomeni sono prodotti dal ventilatore (un Servo-i Maquet), un’ottima macchina che in alcune circostanze (l’ho notato soprattutto nei pazienti flusso-limitati) lavora in questo modo per stabilizzare la pressione nelle vie aeree durante l’espirazione. Questa è la spiegazione suggerita da un’attenta lettura del monitoraggio grafico.

La cosa veramente interessante è il flusso espiratorio, che, dopo picco ed oscillazioni, continua con un andamento quasi parallelo all’asse del tempo: è un paziente con un’espirazione lentissima e per questo incompleta, secondaria ad una grave flow-limitation (è un’immagine tratta dall’archivio dello studio targato “ventilab” su PEEP intrinseca e flow-limitation). Infatti il flusso espiratorio non è terminato quando inizia l’inspirazione. Un’altra informazione preziosa del monitoraggio grafico. A differenza di quanto osserviamo in questo caso, i pazienti con espirazione attiva (e senza flow limitation) presentano invece alti valori di flusso espiratorio durante tutta l’espirazione.

L’ultimo punto “F” riguarda l’attivazione dei muscoli inspiratori, che si può intuire solo sul respiro precedente a quello che stiamo analizzando, con un’incisura verso il basso nella curva di pressione.

In conclusione, da una piccola curva, abbiamo estratto molte informazioni. Altre se ne possono cogliere, ma penso che il post sia già abbastanza complesso.

Prima di salutare tutti gli amici di ventilab, un sentito ringraziamento a tutti quelli che si sono sbilanciati, provando ad affrontare la lettura di queste curve tutt’altro che facili: onore al merito.

Ciao a tutti, alla prossima.

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