Tuesday, November 12, 2019

POSITIVE END-EXPIRATORY PRESSURE (PEEP) IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA - Brescia 16/11/2019

Ho il piacere di invitarti al convegno “POSITIVE END-EXPIRATORY PRESSURE (PEEP) IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA” che si terrà la mattina di sabato 16 novembre p.v. a Brescia alla Fondazione Poliambulanza. Avremo come graditissimo ospite il prof. Salvatore Grasso dell’Università di Bari che tratterà “La PEEP nel paziente con ARDS“. A seguire ci saranno le relazioni “La PEEP nel paziente con BPCO”, “La PEEP in anestesia” e “L’impatto della PEEP sul sistema cardio-vascolare“ (tenute rispettivamente da Giuseppe Natalini, Rosalba Caserta ed Elena Malpetti di Fondazione Polaimbulanza). L’iscrizione è gratuita ma obbligatoria. Clicca qui per scaricare il programma con le istruzioni per l’iscrizione.

Monday, October 21, 2019

Non sedated mechanical ventilation patients: it could work!

NONSEDA trial.

All’ ESICM 2019 di Berlino conclusosi recentemente, il dr. Toft, un collega danese, ha presentato i risultati preliminari di un lavoro multicentrico il cui protocollo di studio è stato pubblicato nel 2014 “Non-sedation versus sedation with a daily wake-up trial in critically ill patients receiving mechanical ventilation (NONSEDA Trial): study protocol for a randomised controlled trial” (1). I risultati di questo e di sottostudi a questo collegato non sono ancora stati pubblicati e dovremo quindi accontentarci, per ora, di quanto anticipato a Berlino.

Monday, September 30, 2019

Ventilazione non-invasiva ed edema polmonare cardiogeno: CPAP o BILEVEL?

Nelle linea guida sulla ventilazione non-invasiva della European Respiratory Society e della American Thoracic Society le uniche due raccomandazioni “forti” sono a favore dell’utlizzo della ventilazione non-invasiva nella ipercapnia con riacutizzazione di BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e nell’edema polmonare cardiogeno. Abbiamo già discusso in precedenza l’utilizzo della ventilazione non-invasiva nella riacutizzazione di BPCO (vedi post del 25/04/2018), ora ragioniamo sul suo utilizzo nei pazienti con edema polmonare cardiogeno.

L’applicazione di una pressione positiva intratoracica ha molteplici effetti benefici sulla disfunzione ventricolare sinistra e l’insufficienza respiratoria ad essa associata.

Effetto della ventilazione positiva su ritorno venoso, portata cardiaca e postcarico del ventricolo sinistro nell’edema polmonare cardiogeno.

Si sente dire che un effetto positivo della ventilazione meccanica nell’edema polmonare sia la riduzione del ritorno venoso. Questa affermazione non è banale e merita qualche riflessione. L’edema polmonare cardiogeno è caratterizzato da un profilo di bassa portata: se il ventricolo sinistro potesse avere una portata cardiaca normale, non avremmo una condizione di edema polmonare. Abbiamo visto in altre occasioni come portata cardiaca e ritorno venoso siano ovviamente uguali. Potrebbe quindi apparire paradossale che la riduzione del ritorno venoso in una condizione di bassa portata possa essere un evento favorevole: se si riduce il ritorno venoso, si riduce ulteriormente la portata cardiaca?

Per capire questo apparente paradosso, facciamo un salto indietro nel tempo di oltre 100 anni. Spesso pensiamo alla cosiddetta “legge di Starling” in termini di precarico. Ma a mio modo di vedere, riferendosi allo studio originale di Patterson e Starling del 1914 (2), si dovrebbe pensare alla “legge di Starling” in termini di ritorno venoso.

Figura 1

Nella figura è riprodotto il preparato anatomico utilizzato nella sperimentazione. Il sangue arriva all’atrio destro (cioè il ritorno venoso, segnato dalle frecce rosse) da un reservoir posto 35 cm al di sopra del cuore. Il ritorno venoso viene modificato da una clip a vite (freccia blu). Le variazioni di pressione venosa sono quindi secondarie alle variazioni del ritorno venoso: più si apre la clip a vite, più sangue arriva all’atrio destro, più aumenta la pressione venosa all’ingresso del cuore.

Figura 2

Vediamo ora cosa succede modificando il ritorno venoso (cioè aprendo e chiudendo la vite che lo regola). Ho modificato l’orientamento della figura 2 rispetto all’originale e, per i suddetti motivi, ho aggiunto all’asse della pressione venosa la dizione “ritorno venoso”.

Nella figura sono rappresentati i risultati degli esperimenti condotti in 9 cani. Possiamo vedere che, aumentando il ritorno venoso, la portata cardiaca inizialmente ha un incremento di notevole entità, ma progressivamente l’incremento di portata cardiaca si affievolisce (le curve riducono la pendenza). In alcuni soggetti, addirittura, la portata cardiaca si riduce quando il ritorno venoso diventa eccessivo per la capacità contrattile del ventricolo (la curve che si inclinano verso il basso nella parte terminale).

In parole semplici, l’aumento del ritorno venoso aumenta la portata cardiaca fintantoché il ventricolo riesce a smaltire tutto il flusso che gli arriva. Ma il ventricolo ha dei limiti alla propria capacità di eiezione, legati prevalentemente alla propria contrattilità ed al postcarico. Quando al ventricolo arriva più sangue di quanto esso sia capace di eiettare, questo si accumula a monte del cuore, aumentando le pressioni venose. Con un duplice effetto: la riduzione del ritorno venoso (vedi post del 30 aprile 2013) e l’edema polmonare idrostatico. E’ proprio quello che accade nell’edema polmonare: il ritorno venoso è eccessivo rispetto alla capacità di pompa del ventricolo sinistro.

Per questo motivo la pressione positiva intratoracica, pur riducendo il ritorno veoso, non dimuisce la portata cardiaca, che è già limitata dalla performance del ventricolo sinistro, ma adegua il ritorno venoso alle possibilità di eiezione.

La pressione positiva intratoracica riduce anche il postcarico del ventricolo sinistro, cioè il carico contro cui il ventricolo sinistro deve lavorare per eiettare il sangue. Il postcarico ha come determinante la pressione transmurale, cioè la differenza tra la pressione intravascolare e quella intratoracica. La riduzione della pressione transmurale e del postcarico hanno come effetto positivo la diminuzione del consumo di ossigeno miocardico a parità di portata cardiaca.

Effetto della ventilazione a pressione positiva sulla funzione respiratoria nell’edema polmonare cardiogeno.

I soggetti con edema polmonare acuto hanno una riduzione della compliance dell’apparato respiratorio (3). Questo significa che un respiro costa loro molta più fatica di quanto non accada ai soggetti senza edema polmonare. La CPAP è capace di aumentare la compliance dell’apparato respiratorio (4), ridimensionando questo problema. E’ però anche vero che l’applicazione di un supporto di pressione durante l’inspirazione (che la CPAP non eroga) porta ad una ulteriore riduzione del consumo di ossigeno dei muscoli respiratori (5), che nei pazienti con insufficienza cardiorespiratoria è comunque molto elevato (in media il 20% del consumo di ossigeno complessivo, con picchi anche oltre il 50%) (6).

CPAP o BILEVEL nell’edema polmonare cardiogeno?

Le linee guida ritengono equivalenti la scelta di una pressione positiva continua (CPAP) o di una con supporto inspiratorio (BILEVEL). Questo può essere ragionevole nei pazienti con edema polmonare senza evidenti segni di insufficienza dei muscoli respiratori (cioè senza ipercapnia, utilizzo dei muscoli accessori della ventilazione, respiro paradosso). Tuttavia nei pazienti con insufficienza dei muscoli respiratori o che non migliorano dispnea e tachipnea con la sola CPAP, ritengo che sia preferibile il supporto inspiratorio di una BILEVEL.

Con la ventilazione meccanica, c’è sempre il problema delle sigle. Per BILEVEL qui intendiamo una ventilazione che aumenta la pressione durante l’inspirazione, definita normalmente pressione di supporto nei ventilatori per ventilazione invasiva. Per la regolazione del supporto inspiratorio rimando ai post del 02/01/2014 e del 30/04/2017.

Quando preferire l’intubazione tracheale alla ventilazione non-invasiva nell’edema polmonare cardiogeno.

La ventilazione non-invasiva non è la ventilazione di scelta nei pazienti più gravi con disfunzione ventricolare sinistra. Infatti tutti gli studi hanno escluso i pazienti con shock cardiogeno, quindi le raccomandazioni alla ventilazione non-invasiva non sono estendibili ai pazienti che hanno bisogno di un supporto farmacologico del circolo. In questi pazienti potrebbe essere preferibile l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica invasiva, soprattutto se l’inizio della ventilazione non-invasiva non determina un rapido ed evidente miglioramento clinico.

La ventilazione non-invasiva (in qualsiasi condizione patologica) è poi da interrompere ogni volta che non sortisce rapidamente gli effetti clinici desiderati. Quando una terapia non funziona, deve essere cambiata. La non-invasività non è un valore se il trattamento è inefficace…In questi casi è meglio una intubazione precoce seguita da una estubazione precoce (come avviene di norma nell’edema polmonare se viene intubato) piuttosto che una intubazione tardiva che avrà poi un esito incerto.

Come sempre la nostra pratica clinica è meno banale degli slogan che cercano di semplificarla eccessivamente. Un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

 

Bibliografia.
1) Rochwerg B, Brochard L, Elliott MW, et al. Official ERS/ATS clinical practice guidelines: noninvasive ventilation for acute respiratory failure. Eur Resp J 2017;50(2):1602426.
2) Patterson SW, Starling EH. On the mechanical factors which determine the output of the ventricles. J Physiol 1914;48(5):357–79.
3) Broseghini C, Brandolese R, Poggi R, et al. Respiratory Mechanics during the First Day of Mechanical Ventilation in Patients with Pulmonary Edema and Chronic Airway Obstruction. Am Rev Respir Dis 1988;138(2):355–61.
4) Lenique F, Habis M, Lofaso F, Dubois-Randé JL, Harf A, Brochard L. Ventilatory and hemodynamic effects of continuous positive airway pressure in left heart failure. Am J Respir Crit Care Med 1997;155(2):500–5.
5) Manthous CA, Hall JB, Kushner R, Schmidt GA, Russo G, Wood LD. The effect of mechanical ventilation on oxygen consumption in critically ill patients. Am J Respir Crit Care Med 1995;151(1):210–4.
6) Field S, Kelly SM, Macklem PT. The Oxygen Cost of Breathing in Patients with Cardiorespiratory Disease. Am Rev Respir Dis 1982;126(1):9–13.

Tuesday, July 30, 2019

Weaning con il minimo sforzo.

Il mese scorso è stato pubblicato su JAMA un trial randomizzato, controllato, multicentrico sullo svezzamento (weaning) dalla ventilazione meccanica (1). Quando una prestigiosa rivista di medicina non specialistica si occupa di ventilazione meccanica dobbiamo ritenere che lo studio sia particolarmente importante. Quindi non perdiamo l’occasione di analizzarlo criticamente per capirne gli insegnamenti e coglierne i limiti.

Il weaning dalla ventilazione meccanica ha come momento centrale il trial di respiro spontaneo, che è un test per capire se un pazientesarà in grado di respirare senza ventilatore meccanico. Il trial di respiro spontaneo consiste nel sospendere o ridurre al minimo il supporto ventilatorio. Questo può essere ottenuto o distaccando fisicamente il paziente dal ventilatore (ventilazione con tubo a T) oppure mantenendo la ventilazione meccanica (senza PEEP) con un supporto inspiratorio minimo  (di solito 5-8 cmH2O di pressione di supporto). La durata ottimale del trial di respiro spontaneo è dibattuta, ma solitamente è compresa tra 30 e 120 minuti.

Si procede all’estubazione se il paziente ha sopportato bene il trial di respiro spontaneo. Viceversa, se durante tale periodo si sono manifestati segni e sintomi di insufficienza respiratoria, si mantiene l’intubazione e si riprende la ventilazione meccanica. (Se hai dei dubbi sullo svezzamento dalla ventilazione meccanica o sui termini finora utilizzati, puoi leggere il post del 26/11/2017.)

Lo studio di JAMA mette a confronto il successo dell’estubazione tra il trial respiro spontaneo il meno impegnativo possibile (30 minuti con 7 cmH2O di pressione di supporto) ed il trial di respiro spontaneo il più impegnativo possibile (120 minuti con tubo a T, cioè senza alcun aiuto da parte del ventilatore meccanico). L’obiettivo della ricerca è capire se per estubare un paziente è meglio essere poco esigenti, col rischio di trovarsi di fronte ad una estubazione fallita per averne sopravvalutato le risorse, oppure essere molto esigenti, rischiando di non estubare persone che invece avrebbero potuto farcela.

Ricordiamo che l’estubazione fallita si associa ad una elevata mortalità, per cui i rischi di fallimento devono essere ben ponderati.

Le conclusioni dell’abstract sono: “Among patients receiving mechanical ventilation, a spontaneous breathing trial consisting of 30 minutes of pressure support ventilationcompared with 2 hours of T-piece ventilation, led to significantly higher rates of successful extubation. These findings support the use of a shorter, less demanding ventilation strategy for spontaneous breathing trials.” (trad.: “Nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, un trial di respiro spontaneo di 30 minuti con Pressione di Supporto, rispetto a 2 ore di ventilazione con tubo a T, porta ad una più elevata percentuale di estubazioni coronate da successo. Questi dati supportano l’uso di una strategia di weaning più breve e meno impegnativa per i trial di respiro spontaneo.“).

In realtà il messaggio corretto è  meno ovvio di quanto queste conclusioni lascino supporre.

Un elemento fondamentale per interpretare correttamente i risultati dello studio è che esso ha preso in considerazione l’esito di un solo trial di respiro spontaneo. Tutti gli eventuali successivi trial di respiro spontaneo (conseguenti al fallimento del primo o ripetuti dopo una eventuale reintubazione) non erano protocollizzati e potevano essere fatti in qualunque modo, indipendentemente dall’esito della randomizzazione.

Questo significa che i risultati di questo studio valgono solamente per un solo tentativo di weaning. I pazienti che si estubano con un solo tentativo sono circa la metà dei pazienti intubati, quelli più semplici da curare, con svezzamento rapido e facile, bassa mortalità e breve durata della degenza in Terapia Intensiva (2). L’insegnamento principale che portiamo a casa dallo studio conferma quanto già sapevamo: quando si analizza l’esito di un solo trial di respiro spontaneo, è inutile prolungarne la durata oltre i 30 minuti, sia quando lo si conduce con tubo a T (3) che quando si utilizza la pressione di supporto (4).

Da notare che i principali studi clinici controllati sullo svezzamento hanno preso in considerazione un solo trial di respiro spontaneo e che quindi i loro risultati possono guidarci solo sui pazienti con weaning più facile.

La vera sfida del weaning dalla ventilazione meccanica è però l’altro 50% di pazienti, ovvero quelli in cui si susseguono frustranti fallimenti dei trial di respiro spontaneo ed il processo di svezzamento dalla ventilazione meccanica si prolunga per giorni o settimane. Questi sono i pazienti su cui è più difficile, ma forse più importante, fare la differenza. Su di essi questo studio (e gli altri ad esso simili) non ci insegna nulla.

Come dobbiamo comportarci quindi con i pazienti che falliscono i trial di respiro spontaneo? Limitiamo il ragionamento ai pazienti intubati candidati all’estubazione, escludendo in questa sede ogni considerazione sui paziente tracheotomizzato.

  • è ragionevole, e con sufficienti dati a favore, limitare la durata del trial di respiro spontaneo a 30 minuti e riproporlo tutti i giorni in cui ve ne siano le indicazioni.
  • diversamente dalla ventilazione con tubo a T, mantenere il paziente collegato al ventilatore è comodo e consente di misurare il volume corrente e visualizzare il monitoraggio grafico: per questo motivo è preferibile, nella maggior parte dei casi, il trial di respiro spontaneo con pressione di supporto senza PEEP.
  • nessuno sa quale sia il valore ottimale di pressione di supporto da utilizzare. Personalmente preferisco utilizzare non più di 5 cmH2O, poichè ogni incremento di pressione di supporto riduce lo sforzo del paziente rispetto a quello che dovrà sostenere se sarà estubato (5): il lavoro respiratorio durante il trial di respiro spontaneo è sensato che sia il più possibile simile a quello che si avrà dopo l’eventuale estubazione.

Come abbiamo visto, la medicina basata sull’evidenza ci dà una mano nella gestione dello svezzamento facile ma non offre approcci affidabili nella gestione del weaning difficile. A 33 anni di distanza appare ancora valida una affermazione di Milic-Emili: “At present, weaning is still an art.” (6): questa consapevolezza ci induce a trovare le risposte nella articolata dialettica tra clinica e ricerca piuttosto che in deresponsabilizzanti “ricette universali”, che, proprio perchè tali, spesso rasentano la banalità.

Buon agosto a tutti gli amici di ventilab.

 

Bibliografia.

1. Subirà C, Hernández G, Vázquez A, et al.: Effect of Pressure Support vs T-Piece Ventilation Strategies During Spontaneous Breathing Trials on Successful Extubation Among Patients Receiving Mechanical Ventilation: A Randomized Clinical Trial. JAMA 2019; 321:2175-2182
2. Béduneau G, Pham T, Schortgen F, et al.: Epidemiology of Weaning Outcome according to a New Definition. The WIND Study. Am J Respir Crit Care Med 2017; 195:772–783
3. Esteban A, Alia I, Tobin MJ, et al.: Effect of spontaneous breathing trial duration on outcome of attempts to discontinue mechanical ventilation. American journal of respiratory and critical care medicine 1999; 159:512–518
4. Perren A, Domenighetti G, Mauri S, et al.: Protocol-directed weaning from mechanical ventilation: clinical outcome in patients randomized for a 30-min or 120-min trial with pressure support ventilation. Intensive Care Med 2002; 28:1058–1063
5. Sklar MC, Burns K, Rittayamai N, et al.: Effort to Breathe with Various Spontaneous Breathing Trial Techniques. A Physiologic Meta-analysis. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine 2017; 195:1477–1485
6. Milic-Emili J: Is Weaning an Art or a Science? American Review of Respiratory Disease 1986; 134:1107–1108

Sunday, June 30, 2019

PEEP e manovre di reclutamento nei pazienti obesi in anestesia: finalmente (?) il trial randomizzato controllato multicentrico!

Nel post del 31 maggio abbiamo riflettuto sulla PEEP in un paziente obeso sottoposto ad anestesia generale. Pochi giorni dopo (il 3 giugno) è stato pubblicato online su JAMA “Effect of Intraoperative High Positive End-Expiratory Pressure (PEEP) With Recruitment Maneuvers vs Low PEEP on Postoperative Pulmonary Complications in Obese Patients” (1), un trial controllato e randomizzato, multicentrico che ha arruolato circa 2000 pazienti. Procediamo quindi ad una lettura critica dello studio per comprenderlo ed interpretarne correttamente i risultati.

Partiamo dalla conclusione dello studio: “Tra i pazienti obesi sottoposti a chirurgia in anestesia generale, una strategia di ventilazione meccanica intraoperatoria con un più alto livello di PEEP e manovre di reclutamento alveolare, rispetto a una strategia con un basso livello di PEEP, non ha ridotto le complicanze polmonari postoperatorie.”

Prima di guardare i risultati, analizziamo con attenzione che tipo di pazienti sono stati studiati, in quali interventi, e quali erano le strategie ventilatorie a confronto: un risultato acquisisce un senso solo ed esclusivamente alla luce dei metodi con il quale è stato ottenuto.
Tipo di pazienti ed intervento: Sono stati arruolati nello studio i pazienti obesi (body mass index > 35 kg/m2) sottoposti a chirurgia addominale di almeno 2 ore di durata, a rischio medio-elevato di complicanze polmonari postoperatorie. La maggior parte dei pazienti (82%) ha eseguito un intervento laparoscopico. Oltre la metà dei pazienti (54%) ha eseguito l’intervento in posizione di anti-Trendelenburg o seduta (“a testa in su“, cioè con il torace più alto dell’addome), mentre solo il 8% dei pazienti era in posizione di Trendelenburg (“a testa in giù“, cioè con il torace più in basso dell’addome). Questi dati non li trovi nell’articolo, ma nella tabella e6 del supplemento 4 (clicca qui per scaricarlo). Nonostante questo dato sia difficile da trovare, è decisivo per interpretare i risultati: in Trendelenburg il peso dell’addome grava sul diaframma e quindi sui polmoni, aumentando la pressione intratoracica e riducendo la capacità funzionale residua (figura 1, a sinistra). Al contrario, in anti-Trendelenburg il peso dell’addome viene allontanato dai polmoni riducendo la pressione intratoracica (figura 1, a destra) (4-6).

Figura 1

L’effetto della PEEP è opposto nelle due posizioni. Nella posizione di Trendelenburg (figura 2, a sinistra), ancor più se con pneumoperitoneo, la PEEP agisce controbilanciando la pressione sul diaframma dei visceri addominali, facendo quindi riguadagnare ai polmoni la capacità funzionale residua persa con il Trendelenburg. Nella posizione di anti-Trendelenburg (figura 2, a destra), la PEEP agisce abbassando un diaframma già sgravato dal peso dei visceri addominali. Quindi in Trendelenburg la stessa quantità di PEEP dovrebbe avere un effetto sui polmoni e sulla meccanica respiratoria ben diverso dalla posizione di anti-Trendelenburg.

Figura 2

Per questi motivi, dato l’esiguo numero di pazienti in Trendelenburg arruolati nel trial, dobbiamo avere chiaro che i risultati non si possono estendere ai pazienti in Trendelenburg. Che, ahimè, sono proprio i pazienti più difficili da ventilare…
Modalità di ventilazione meccanica a confronto: tutti i pazienti sono stati ventilati con un volume corrente di 7 ml/kg di peso ideale. Il gruppo “bassa PEEP” (987 pazienti) riceveva 4 cmH2O di PEEP, uguale per tutti i pazienti. Il gruppo “alta PEEP+reclutamento” (989 pazienti) invece aveva 12 cmH2O di PEEP associati a manovre di reclutamento. Queste erano ottenute con l’incremento del volume corrente di 4 ml/kg di peso ideale alla volta (mantenendo i 12 cmH2O di PEEP) fino a raggiungere una pressione di plateau tra i 40 e 50 cmH2O. Dopo aver erogato 3 respiri a 40-50 cmH2O di pressione di plateau, il volume corrente era riportato agli iniziali 7 ml/kg di peso ideale. Le manovre di reclutamento erano eseguite dopo l’induzione, quindi ogni ora, dopo ogni deconeconnessione dal ventilatore meccanico e prima dell’estubazione. E’ fondamentale capire che lo studio confronta solo ed esclusivamente queste due strategie di ventilazione meccanica: 4 cmH2O di PEEP (non 2 o 6, ma proprio 4), applicati sempre e comunque a tutti i pazienti obesi, oppure 12 di PEEP (non 10 o 14, ma proprio 12) sempre associati a quel tipo di reclutamento, applicati sempre e comunque a tutti i pazienti obesi.

Entrambi questi approcci sono profondamenti diversi da quello proposto nel post del 31 maggio 2019, in cui si propone una PEEP variabile da paziente a paziente (basata sulla riduzione della driving pressure) in assenza di manovre di reclutamento. Nella mia pratica clinica riservo le manovre di reclutamento a quelle condizioni di ipossiemia intraoperatoria in cui ritengo esse possano essere appropriate.
Obiettivo principale dello studio: rilevare il numero di complicanze polmonari postoperatorie nei primi 5 giorni dopo l’intervento. E’ stata definita come complicanza polmonare postoperatoria la comparsa di almeno una di queste condizioni: insufficienza respiratoria (anche lieve, cioè con PaO2 < 60 mmHg o SpO2 < 90% senza ossigenoterapia per almeno 10 minuti), ARDS, broncospasmo, nuovi infiltrati polmonari, infezioni polmonari, polmoniti da aspirazione, versamento pleurico, atelectasia, edema cardiopolmonare, pneumotorace.
Risultati: Le complicanze polmonari postoperatorie hanno avuto una incidenza simile nei pazienti “alta PEEP+reclutamento” ed in quelli “bassa PEEP” (21.3 % vs. 23.6 %, p=0.23). (Cosa significa esattamente p=0.23? Se vuoi approndire, vedi la nota dopo la bibligrafia). Quindi non ci sono elementi per ritenere che una delle due strategie sia migliore dell’altra. Questo risultato di parità è stato ottenuto nonostante una driving pressure più bassa ed una ossigenazione migliore nel gruppo “alta PEEP+reclutamento“. Questo gruppo ha però ha avuto una maggior incidenza di bradicardia ed ipotensione, quest’ultima sempre più chiaramente associata all’aumento di complicanze postoperatorie (7-9). L’ipotensione nei pazienti in anti-Trendelenburg con alta PEEP è facile da prevedere, se si ragiona in termini di ritorno venoso: aumento della pressione intratoracica associato alla riduzione della pressione sistemica media (vedi post del 30/09/2018).
Conclusioni: le conclusioni proposte nello studio le abbiamo viste all’inizio. Qui dò spazio ad alcune mie personali considerazioni. Dopo aver letto questo studio, ho la sensazione di saperne come prima… Il dato più importante è forse l’ulteriore conferma che le manovre di reclutamento eseguite di routine non hanno il supporto della letteratura.

Oggi si ritiene erroneamente che i trial randomizzati, controllati, multicentrici siano il miglior modo per darci le risposte utili alla cura dei pazienti. Ma la qualità della risposta dipende dalla qualità della domanda, più che dal rigore formale. Sono convinto che nell’articolo analizzato oggi ci sia una carenza nella qualità della domanda: cercare un numero magico di PEEP valido per tutti mi sembra davvero semplicistico e contario alle conoscenze finora accumulate.

Un merito di questo trial è quello di rafforzare la convinzione che la strada migliore per scegliere la PEEP sia quella di individualizzarla. A mio parere per farlo è necessario tener conto della meccanica respiratoria del paziente e dell’impatto su di essa della posizione, della tecnica chirurgica (pneumoperitoneo in laparoscopia e divaricatori autostatici nella chirurgia open) e degli effetti emodinamici. Ad oggi non possiamo dire con certezza quale sia la modalità “giusta” di scelta individualizzata della PEEP: la scelta di minimizzare la driving pressure è per ora la migliore, avendo un razionale fisiologico e studi clinici a favore o neutrali.

Il tempo ed una ricerca clinica di qualità (più che di quantità) ci aiuteranno a trovare strade sempre migliori.

Come sempre, un sorriso agli amici di ventilab.

Bibliografia.

1. Writing Committee for the PROBESE Collaborative Group of the PROtective VEntilation Network (PROVEnet) for the Clinical Trial Network of the European Society of Anaesthesiology, Bluth T, Serpa Neto A, et al.: Effect of Intraoperative High Positive End-Expiratory Pressure (PEEP) With Recruitment Maneuvers vs Low PEEP on Postoperative Pulmonary Complications in Obese Patients: A Randomized Clinical Trial. JAMA 2019; 321:2292-2305
2. Pirrone M, Fisher D, Chipman D, et al.: Recruitment Maneuvers and Positive End-Expiratory Pressure Titration in Morbidly Obese ICU Patients: Critical Care Medicine 2016; 44:300–307
3. Fahy G, Barnas M, Flowers JL, et al.: The Effects of Increased Abdominal Pressure on Lung and Chest Wall Mechanics During Laparoscopic Surgery. Anesthesia & Analgesia 1995; 81:744–750
4. De Leon A, Thörn S-E, Ottosson J, et al.: Body positions and esophageal sphincter pressures in obese patients during anesthesia. Acta Anaesthesiologica Scandinavica 2010; 54:458–463
5. Lehavi A, Livshits B, Katz Y: Effect of position and pneumoperitoneum on respiratory mechanics and transpulmonary pressure during laparoscopic surgery. Laparosc Surg 2018; 2:60–60
6. Couture EJ, Provencher S, Somma J, et al.: Effect of position and positive pressure ventilation on functional residual capacity in morbidly obese patients: a randomized trial. Can J Anesth/J Can Anesth 2018; 65:522–528
7. Futier E, Lefrant J-Y, Guinot P-G, et al.: Effect of Individualized vs Standard Blood Pressure Management Strategies on Postoperative Organ Dysfunction Among High-Risk Patients Undergoing Major Surgery: A Randomized Clinical Trial. JAMA 2017; 318:1346
8. Meng L, Yu W, Wang T, et al.: Blood Pressure Targets in Perioperative Care: Provisional Considerations Based on a Comprehensive Literature Review. Hypertension 2018; 72:806–817
9. Wesselink EM, Kappen TH, Torn HM, et al.: Intraoperative hypotension and the risk of postoperative adverse outcomes: a systematic review. British Journal of Anaesthesia 2018; 121:706–721

Nota: Nel mondo esistono infiniti pazienti che possono essere sottoposti a “alta PEEP+reclutamento” o “bassa PEEP” (li possiamo considerare infiniti perchè includiamo anche quelli che saranno ventilati in futuro): queste sono le popolazioni “alta PEEP+reclutamento” o “bassa PEEP”. I circa 2000 pazienti dello studio possono essere considerati come campioni di queste popolazioni: in questi campioni le complicanze polmonari postoperatorie sono state indiscutibilmente il 2.3% superiori nel gruppo “bassa PEEP”(23.6 % vs 21.3 %). Ma noi siamo siamo interessati a generalizzare il risultato alla popolazione, a cui appartengono anche i pazienti che anestetizzeremo e ventileremo domani e nei giorni a venire. Il valore di p indica la probabilità che la popolazione dei pazienti con “alta PEEP+reclutamento” e la popolazione dei pazienti “bassa PEEP” abbiano lo stesso numero di complicanze polmonari postoperatorie (compatibilmente con i dati ottenuti nei campioni arruolati nello studio). La p di 0.23 dice che c’è il 23 % di probabilità che queste popolazioni abbiano la stessa indicenza di complicanze. E quindi il 77% di probabilità che queste complicanze siano diverse nelle due popolazioni (quindi che uno dei due trattamenti sia migliore dell’altro). Per convenzione (ampiamente discutibile) in ambito scientifico (e biomedico in particolare), si dice che un trattamento è efficace (è “statisticamente significativo”) se esiste meno del 5 % di probabilità che il dato che interessa sia uguale nelle popolazioni (quindi se la p è minore di 0.05). Negli altri casi (come nello studio che abbiamo commentato) è meglio evitare di sostenere con certezza che si è esclusa l’efficacia di un trattamento, semplicemente non si è riusciti a dimostrarne l’efficacia. Come ci ricordano due grandi statistici “L’assenza di evidenza non è l’evidenza dell’assenza” (Altman DG, Bland JM: Statistics notes: Absence of evidence is not evidence of absence. BMJ 1995; 311:485–485).

Friday, May 31, 2019

Ventilazione meccanica in anestesia e complicanze polmonari postoperatorie.

La ventilazione meccanica può ridurre le complicanze polmonari postoperatorie? Come? Risponderemo a questa domanda analizzando il caso di un paziente, che chiameremo Valerio, sottoposto a emicolectomia sinistra laparoscopica. Un caso che può essere interessante anche per chi non pratica l’anestesia…

Valerio è obeso (Body Mass Index 32 kg/m2), con un peso ideale di 80 kg. L’intervento a cui è sottoposto ha la durata di alcune ore, con pneumoperitoneo in posizione di Trendelenburg. Per interventi di questo tipo, le complicanze polmonari postoperatorie sono frequenti (nei pazienti con ASA > 2 si verificano in un terzo dei casi) e si associano ad un incremento della mortalità ospedaliera (1). Facciamo quindi un buon servizio se possiamo contribuire a prevenirle con una buona ventilazione meccanica.

So per esperienza che la prima domanda che viene in mente a questo proposito è: quale modalità di ventilazione? A mio parere qualsiasi modalità va bene, se utilizzata correttamente. Qualsiasi modalità può essere nociva se i criteri di ventilazione non sono corretti. In particolare si possono ridurre le complicanze se si impostano appropriatamente volume corrente e PEEP. Ribadisco, qualunque sia la modalità di ventilazione. Se non ne sei convinto, scrivi le tue perplessità in un commento, magari dopo aver letto il post del 16/12/2015.

Il volume corrente è abbastanza facile da impostare. Infatti è ormai ben supportato il ricorso alla scelta di un volume “protettivo” (cioè fisiologico) anche in anestesia, stimato approssimativamente in 6-8 ml/kg di peso ideale (2). Per Vittorio potrebbe essere adeguato un volume corrente tra 480 e 640 ml: la scelta nel caso reale è stata di 500 ml.

Sulla PEEP esistono invece più incertezze (3), anche legate al fatto che spesso ci si fa la domanda sbagliata: “meglio una PEEP alta o una PEEP bassa?” (4). E’ una approccio classico, ma probabilmente non molto sensato. Infatti in alcuni casi può essere meglio una PEEP alta, in altri una PEEP bassa. Nei pazienti con ARDS ci siamo abituati a ragionare in maniera individualizzata scegliendo la PEEP che minimizza la driving pressure, cioè la differenza tra pressione di plateau e PEEP (vedi anche post del 18/10/2015). La scelta della PEEP che si associa alla minor driving pressure sembra una scelta molto ragionevole anche per ridurre le complicanze postoperatorie in anestesia (5).

L’intervento di Vittorio prevede diverse fasi, nelle quali può cambiare la meccanica respiratoria per effetto delle diverse combinazioni tra posizione (supina o Trendelenburg) e pneumoperitoneo (assente o presente). Ho valutato la PEEP che si associa alla minor driving pressure nelle diverse fasi, vediamo il risultato.

Fase 1: posizione supina senza pneumperitoneo

Dopo l’induzione ho applicato due livelli di PEEP, 5 e 10 cmH2O. Nella figura 1 sono riprodotte le curve di pressione.

Figura 1

Nel riquadro bianco vediamo pressione di plateau (Pplat) e PEEP (cerchiata in rosso). Ho aggiunto in bianco il valore della driving pressure, che è di 9 cmH2O a PEEP 5 e 10 cmH2O a PEEP 10. Possiamo concludere che la modificazione della PEEP non ha avuto un impatto significativo sulla driving pressure (ritengo trascurabile una differenza di 1 cmH2O nelle pressioni delle vie aeree*, a meno che si inserisca in un trend ben identificabile.). Visto che la PEEP più alta non migliora (cioè non riduce) la driving pressure, scelgo la PEEP di 5 cmH2O, che mi consente di ottenere il medesimo risultato con la minor pressione applicata. Questa fase dell’intervento è molto breve, abbiamo fatto questo esercizio per “conoscere” il paziente ed avere un valore basale su cui confrontare le modificazioni che potrebbero essere indotte da posizione, pressione addominale ed eventuali complicanze. La miglior compliance (volume corrente/driving pressure) in questa fase è circa 55 ml/cmH2O.

Fase 2: posizione supina con pneumoperitoneo

Anche questo periodo è abbastanza breve, proviamo comunque a valutare che modificazioni ha prodotto lo pneumoperitoneo e quale PEEP è preferibile in questa condizione. Nella figura 2 possiamo vedere la driving pressure a diversi livelli di PEEP:

Figura 2

A parità di volume corrente, vediamo che la driving pressure a 5 cmH2O di PEEP aumenta moltissimo rispetto alla fase precente (da 9 a 20 cmH2O). L’aumento della PEEP (diversamente dalla fase precedente) riduce notevolmente la driving pressure, che considero raggiungere il valore minimo (sempre con l’approssimazione di 1 cmH2O) già a 15 cmH2O di PEEP. La miglior compliance in questa fase è diventata circa 40 ml/cmH2O . Avrai forse notato che la pressione di plateau non si modifica aumentando la PEEP da 5 a 10 cmH2O, un fenomeno interessante e complesso di cui oggi non parleremo.

Fase 3: Trendelenburg con pneumoperitoneo

Questa è la condizione che viene mantenuta per la maggior parte del tempo operatorio. La ventilazione in questa fase è pertanto quella che può avereil maggior impatto sulle complicanze polmonari postoperatorie. Ho applicato in rapida successione PEEP crescenti da 0 a 20 cmH2O, calcolando per ciascuna la driving pressure.

Figura 3

Nella figura 3 vediamo il collage della pressione delle vie aeree alle diverse PEEP. E’ una sequenza ottenuta con incrementi successivi di 2 cmH2O, che consente di avere una bella documentazione del caso. Nella pratica clinica più pragmaticamente si potrebbero testare livelli incrementali di PEEP di 4-5 cmH2O alla volta. Una volta trovata la PEEP che si associa alla miglior driving pressure, si può raffinire il risultato rilevando la driving pressure con PEEP aumentata e ridotta di 2 cmH2O rispetto a questo valore.

Il risultato non propone certamente l’applicazione di una PEEP “convenzionale”: la driving pressure diventa minima a 18-20 cmH2O (la compliace è circa 35 ml/cmH2O). Può rimanere il dubbio se ulteriori aumenti di PEEP avrebbero potuto ridurre ulteriormente la driving pressure, ma ho preferito evitare di testare valori più elevati per due motivi: 1) a 18-20 cmH2O di PEEP la driving pressure si è comunque ridotta a valori ritenuti accettabili, cioè ≤ 15 cmH2O. Siamo comunque al limite massimo della driving pressure, dato che suggerisce di non aumentare il volume corrente (driving pressure=volume corrente/compliance); 2) nella posizione di Trendelenburg il ritorno venoso è favorito (il cuore è più in basso dell’addome). Infatti la stabilità cardiovascolare di Valerio era ottimale anche alle PEEP più elevate. Ma bisogna pensare anche al deflusso dal circolo cerebrale, che avviene invece “in salita” (la testa è più in basso del cuore). L’effetto della PEEP sulla pressione atriale destra (che condiziona il ritorno venoso) è complesso, ma in assenza di monitoraggi più avanzati preferisco non eccedere nel valore di PEEP.

Fase 4: Trendelburg senza pneumoperitoneo

In questa fase si procede all’estrazione della porzione resecata del colon attraverso una piccola incisione sulla parete addominale. La sua durata è relativamente breve, vediamo comunque come si modifica la driving pressure con la normalizzazione della pressione addominale.

Figura 4

Vi è un cambio sostanziale rispetto alla fase precedente. Arrivati ai 6-8 cmH2O di PEEP, la driving pressure ha raggiunto il suo valore minimo (compliance circa 45 ml/cmH2O).

In sintesi: Valerio aveva una PEEP ottimale di 5 cmH2O dopo l’induzione dell’anestesia, quindi è diventata 15 cmH2O con l’inizio dello pneumoperitoneo, è aumentata a 18-20 cmH2O durante la fase in Trendelenburg con pneumoperitoneo, è scesa a 6-8 cmH2O con il Trendelenburg senza pneumoperitoneo.

In conclusione, possiamo riassumere quando detto finora in alcuni punti:

– la ventilazione meccanica può avere un impatto sull’outcome del paziente sottoposto a chirurgia, soprattutto nelle procedure di almeno 2 ore di durata e nei pazienti con maggior rischio perioperatorio;
– la modalità di ventilazione è indifferente, se si scelgono correttamente volume corrente e PEEP;
– il volume corrente dovrebbe essere di 6-8 ml/kg di peso ideale, comunque senza superare una driving pressure di 15 cmH2O;
– la PEEP può essere ragionevolmente scelta per ridurre la driving pressure (una volta definito il volume corrente);
– i valori ottimali di PEEP possono variare da paziente a paziente, ed anche (e molto) nello stesso paziente durante tempi diversi dell’intervento.

Questo è quanto di ragionevole possiamo fare alla luce delle conoscenze attuali. La medicina (se vuole essere, per quanto possibile, scientifica) non deve essere vista come una verità definitivamente acquisita: dobbiamo essere sempre disponibli a cambiare idea se emergeranno nuove conoscenze.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
* la pressione delle vie aeree di solito è misurata con la precisione di ±1 cmH2O.

Bibliografia.

1. Fernandez-Bustamante A, Frendl G, Sprung J, et al.: Postoperative Pulmonary Complications, Early Mortality, and Hospital Stay Following Noncardiothoracic Surgery: A Multicenter Study by the Perioperative Research Network Investigators. JAMA Surgery 2017; 152:157

2. Guay J, Ochroch EA, Kopp S: Intraoperative use of low volume ventilation to decrease postoperative mortality, mechanical ventilation, lengths of stay and lung injury in adults without acute lung injury [Internet]. Cochrane Database Syst Rev 2018; 7:CD011151

3. Neto AS, Hemmes SNT, Barbas CSV, et al.: Protective versus Conventional Ventilation for Surgery: A Systematic Review and Individual Patient Data Meta-analysis. Anesthesiology 2015; 123:66–78

4. PROVE Network: High versus low positive end-expiratory pressure during general anaesthesia for open abdominal surgery (PROVHILO trial): a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2014; 384:495–503

5. Neto AS, Hemmes SNT, Barbas CSV, et al.: Association between driving pressure and development of postoperative pulmonary complications in patients undergoing mechanical ventilation for general anaesthesia: a meta-analysis of individual patient data. The Lancet Respiratory Medicine 2016; 4:272–280

Tuesday, April 30, 2019

Sforzo inefficace, doppio trigger, ciclaggio anticipato: capire le asincronie per scegliere il trattamento corretto.

Lo sforzo inefficace è determinato da un’attivazione dei muscoli inspiratori che non è sufficiente ad attivare il trigger inspiratorio (vedi anche il post del 08/05/2012 e quello del 24/09/2017).

Vi è consenso nel ritenere che i criteri diagnostici dello sforzo inefficace sulle curve di pressione e flusso sia la contemporanea presenza di due segni: 1) riduzione della pressione delle vie aeree (figura 1, traccia in alto); 2) riduzione del flusso espiratorio (che si avvicina alla linea dello zero) (figura 1, traccia in basso), a cui non segue un’inspirazione assistita (1,2).

Figura 1

Una piccola precisazione, prima di affrontare il caso di oggi. A mio parere questi criteri diagnostici “ufficiali” sarebbero da rivedere: il primo dei due criteri (la riduzione di pressione delle vie aeree) non è infatti indispensabile per identificare uno sforzo inefficace. L’unico segno necessario è la riduzione del flusso espiratorio, in assenza di un concomitante aumento della pressione delle vie aeree.

Figura 2

Vediamo ad esempio la figura 2: c’è sicuramente uno sforzo inefficace, come dimostrato dalla depolarizzazione del diaframma in fase espiratoria (traccia in basso), a cui non segue l’attivazione del trigger inspiratorio. Durante la contrazione diaframmatica (tra le due righe azzurre tratteggiate verticali), il flusso (traccia verde) si riduce durante l’espirazione (rispetto al decadimento esponenziale passivo che potremmo ipotizzare, curva bianca tratteggiata), fino a toccare la linea dello zero. La pressione delle vie aeree non si riduce, rimanendo stabile sul valore della PEEP (linea orizzontale tratteggiata bianca, traccia in alto). Questo esempio dimostra che uno sforzo inefficace può verificarsi anche  quando la pressione delle vie aeree rimane costante.

Nel mondo ideale, con ventilatori meccanici “perfetti”, la pressione delle vie aeree non dovrebbe ridursi mai durante uno sforzo inefficace. Infatti il compito del ventilatore meccanico durante l’espirazione dovrebbe essere quello di mantenere il livello di PEEP, indipendentemente dall’attività del paziente. Però viviamo in un mondo reale, con ventilari meccanici “imperfetti”, che riescono a mantenere la PEEP stabile solo se l’attività dei muscoli respiratori è di modesta entità. Per questo motivo spesso (ma non sempre!) la pressione delle vie aeree si riduce nello sforzo inefficace, per l’incapacità del ventilatore meccanico di adeguarsi in maniera istantanea, uguale e contraria, alle pertubazioni pressorie indotte dal paziente.

Un’ultima considerazione sulla figura 2: avrai visto sicuramente le altre due asincronie…

Ed ora entriamo nel merito del problema di questo post. Esaminiamo il monitoraggio in figura 3: sono tre sforzi inefficaci quelli che vediamo?

Figura 3

Nella figura 4 ti propongo l’esercizio di analizzare la figura 3 con il metodo RESPIRE (vedi post del 20/08/2017 e del 24/09/2017), applicato alla sola fase espiratoria (se hai fretta o non ti interessa, puoi passare direttamente alla visione della figura 5). Dopo aver riconosciuto (R) le curve di pressione e flusso, è stata identificata l’espirazione E. Bisogna quindi supporre (S) come dovrebbero essere le curve se il paziente fosse passivo in espirazione: la pressione delle vie aeree dovrebbe essere sul valore di PEEP (riga tratteggiata orizzontale sulla curva di pressione) ed il flusso espiratorio dovrebbe essere decrescente. Nella figura si vede che la parte finale del flusso è decrescente come nei pazienti passivi. Quindi prolungo fino all’inizio dell’espirazione questa curva di flusso espiratorio (curva tratteggiata bianca). Metto il paziente (P) tra le curve di pressione e flusso e guardo se queste gli si avvicinano (I, attività inspiratoria) o allontanano (E, attività espiratoria) rispetto alle tracce teoriche. Vediamo indiscutibilmente che quando il flusso espiratorio si avvicina allo zero, la pressione delle vie aeree scende (frecce rosse). Quindi concludiamo che c’è un’attività inspiratoria nella fase espiratoria, non seguita dall’attivazione del trigger. E’ uno sforzo inefficace.

Figura 4

Guardiamo ora la figura 5: si nota la ripetuta attivazione di due trigger inspiratori ravvicinati, separati da una brevissima fase espiratoria. Questa asincronia è definita doppio trigger (vedi post del 26/12/2014), ed il suo criterio diagnostico sulla curva di flusso è dato dalla presenza di due trigger inspiratori separati da una espirazione di durata inferiore alla metà del tempo inspiratorio medio (1,2).

Figura 5

Nella figura 3 abbiamo 3 sforzi inefficaci, nella figura 5 invece vi sono 3 doppi trigger. Due asincronie che possono richiedere trattamenti opposti: nel paziente con sforzo inefficace può essere indicata la riduzione del supporto inspiratorio (3), mentre l’aumento del supporto inspiratorio può essere appropriato in quello con doppio trigger (4).

Le figure 3 e 5 sono state prese dal medesimo paziente, ad un solo minuto di distanza l’una dall’altra e con la stessa, identica impostazione del ventilatore. A questo paziente aumentiamo o riduciamo il supporto inspiratorio?

Risolveremo facilmente il problema se ragioniamo per capire l’interazione paziente-ventilatore piuttosto che per classificare le asincronie.

Nel caso proposto, le due asincronie sono la manifestazione di un identico problema: il ciclaggio anticipato secondario ad un supporto inspiratorio insufficiente per entità e durata. Analizziamo il significato di questa affermazione mettendo a confronto il monitoraggio della figura 3 (a destra) e della figura 5 (a sinistra) (figura 6).

Figura 6

Rispetto alle precedenti immagini, compare in aggiunta una curva bianca sovrapposta alla traccia della pressione delle vie aeree: è una traccia generata dall’attività elettrica diaframmatica. La contrazione del diaframma (e quindi l’inspirazione del paziente) avviene durante la salita della curva bianca, cioè l’intervallo compreso tra le due linee tratteggiate verticali azzurre. Sia nello sforzo inefficace che nel doppio trigger vediamo che il flusso inspiratorio erogato dal ventilatore termina (la linea tratteggiata verticale rossa) prima che sia finita l’attività inspiratoria del paziente: questo è il ciclaggio anticipato, cioè il passaggio dall’inspirazione all’espirazione (definito ciclaggio) che avviene in anticipo rispetto alla conclusione dell’inspirazione del paziente. In altre parole, il paziente continua ad inspirare anche quando il ventilatore ha terminato la propria fase inspiratoria.

La persistente attività inspiratoria nella prima fase della espirazione determina il richiamo del flusso verso la linea dello zero. Nello sforzo inefficace l’intensità della inspirazione del paziente non è sufficiente a triggerare nuovamente il ventilatore, mentre nel doppio trigger sì. Nella figura 6 la maggior intensità dell’inspirazione del paziente nel doppio trigger è confermata dalla maggior ampiezza della curva di depolarizzazione diaframmatica rispetto allo sforzo inefficace.

Per risolvere entrambe le asincronie viste in precedenza dobbiamo quindi eliminare il ciclaggio anticipato, che ne è la causa, prolungando la durata della fase inspiratoria del ventilatore. In questo caso la soluzione migliore è l’aumento del supporto inspiratorio. Questo determinerebbe infatti un maggior picco di flusso inspiratorio e quindi un più tardivo raggiungimento del trigger espiratorio (vedi post del 27/12/2017). La riduzione del trigger espiratorio (un’altra possibilità) non sarebbe sufficiente in questo caso, visto che il prolungamento del decadimento del flusso inspiratorio (le linee tratteggiate arancioni indicate dalle frecce) incrocia la linea di zero flusso comunque prima della fine della inspirazione neurale.

Il doppio trigger è una tipica espressione del ciclaggio anticipato, mentre il “classico” sforzo inefficace è espressione di un carico soglia eccessivo per la forza del paziente. E’ importante riconoscere i casi in cui sforzo inefficace è causato dal ciclaggio anticipato e non dal carico soglia,  per evitare di attuare un trattamento opposto a quello corretto.

Lo sforzo inefficace è dovuto al ciclaggio anticipato, e quindi va trattato come doppio trigger, se, qualora efficace, determinasse un doppio trigger. In questo caso infatti lo sforzo inefficace è in realtà un doppio trigger inefficace. Quando lo sforzo inefficace fa parte di un doppio trigger, il problema alla radice è il doppio trigger; se non ci fosse il doppio trigger non ci sarebbe nemmeno lo sforzo inefficace.

Un’immagine finale per sintetizzare il concetto. Lascio a te il commento:

Figura 7

Riassumiamo il contenuto del post in tre punti:
1) da un punto di vista clinico, è più utile capire l’interazione paziente-ventilatore che classificare le asincronie;
2) il doppio trigger può camuffarsi da sforzo inefficace se il secondo trigger è inefficace; il problema principale è però il doppio trigger;
3) in questi casi il trattamento deve essere diretto alla causa di entrambe le asincronie: il ciclaggio anticipato. Risolto quello, scompariranno sia lo sforzo inefficace che il doppio trigger.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia.

1. Colombo D, Cammarota G, Alemani M, et al.: Efficacy of ventilator waveforms observation in detecting patient–ventilator asynchrony: Critical Care Medicine 2011; 39:2452–2457
2. Thille AW, Rodriguez P, Cabello B, et al.: Patient-ventilator asynchrony during assisted mechanical ventilation. Intensive Care Medicine 2006; 32:1515–1522
3. Thille AW, Cabello B, Galia F, et al.: Reduction of patient-ventilator asynchrony by reducing tidal volume during pressure-support ventilation. Intensive Care Med 2008; 34:1477–1486
4. Gilstrap D, MacIntyre N: Patient–Ventilator Interactions. Implications for Clinical Management. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine 2013; 188:1058–1068

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